Dragonara, intervento di Basilio (Sel)

"Davanti a tragedie come quella avvenuta a Potenza in contrada Dragonara in occasione di una rievocazione storica – ma anche davanti a tragedie come quella avvenuta solo pochi giorni fa sui cantieri della A3 all'altezza di Mormanno – vi è una retorica ricorrente che vuole che, di fronte ad esse, tutti tacciano chiudendosi in un silenzio composto. Il miglior modo per ricordare le vittime di tali incidenti – è il leit motiv – è quello del rispetto silenzioso". Così Mario Basilio, coordinatore provinciale potentino di Sel. 
"Una retorica, per l'appunto, volta sempre a rimandare o a dimenticare ciò che si cela dietro a tali incidenti, soffocando così il grido di dolore e di rabbia di quante e quanti in queste tragedie perdono la vita, perdono un loro caro o ne compromettono definitivamente la salute.
Eppure sarebbe utile che quell'urlo non venisse soffocato, cominciando a mettere il dito nelle piaghe di quelle che sono tragedie nel solco della storia e, come tali, prevenibili ed evitabili non sono iscritte nel solco del destino, perchè conseguenza di comportamenti e di retaggi culturali. Rievocare un episodio della storia attraverso la feticistica riproposizione dei momenti più drammaticamente violenti di essa – lo sparo del cannone, quello del fucile, l'ammazzamento e/o l'eliminazione fisica degli attori – è figlio di una cultura che non riesce a liberarsi del momento guerreggiato della storia medesima: quell'elemento violento che sopravvive a se stesso che nulla offre in più dal punto di vista conoscitivo e memoriale, ma molto sulla riproposizione del protocollo della violenza.
Riproporre lo sparo del fucile con il maggiore carico realistico possibile non significa lottare contro l'oblìo del momento drammatico che ha coinciso con l'episodio di sangue, bensì significa riproporre una spettacolarizzazione di quel dramma che si ripropone nella tenaglia violenza dell'ammazzamento, con una sorta di culto dell'arma come strumento levatore.
Dragonara, che ci consegna due vite spezzate, un bambino di 4 anni in pericolo di vita e un arto amputato per un altro giovane uomo, poteva e doveva essere evitato non con tanto sterili quanto inutili divieti (rimanendo comunque il tema dell'accertamento di eventuali responsabilità), ma un un cambio di cultura volto alla eliminazione dell'elemento feticistico della raffigurazione della violenza. Lo sparo delle armi come sottile strumento di dominio e di forza fisica, incoronando quest'ultima come unica attrice levatrice della storia. Forse quando avremo interiorizzato una cultura della non violenza – senza se e senza ma si sarebbe detto solo qualche anno fa – saremo anche capaci di rifondare un modello di memoria storica emancipato dal violento".

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