Riforma Gelmini, Romaniello: accrescere mobilitazione

Per il capogruppo di Sel è necessario contrastare il disegno regressivo del governo e puntare su una Università autonoma e responsabile

“Sostenere ogni sforzo del Senato Accademico dell’Università degli Studi della Basilicata rivolto, da una parte, a scongiurare la riduzione dei corsi e, dall’altra, un abbassamento della qualità della didattica: è quanto afferma il capogruppo SEL (Sinistra Ecologia e Libertà) alla Regione Giannino Romaniello.
“L’aiuto finanziario della Regione Basilicata e quello in termini di servizi erogati attraverso l’Ardsu a favore di studenti, docenti, ricercatori e personale dell’ateneo lucano – aggiunge – non può sostituire l’intervento statale come deve avvenire per tutte le università italiane. C’è inoltre bisogno di fronteggiare, ad ogni livello politico e istituzionale, l’attacco senza precedenti, all’università pubblica, alla conoscenza e preparazione culturale e professionale dei giovani, mosso dalla riforma Gelmini”.
Nel sottolineare che “l’azione del governo ha ridotto drasticamente il finanziamento ordinario, premiando il merito solo con la riduzione del danno, fino ad arrivare al rischio del collasso economico, nel 2011, per quasi tutte le università italiane”, Romaniello evidenzia “la necessità di intensificare la mobilitazione per abrogare la riforma Gelmini, per adeguare i percorsi formativi alle mutate esigenze culturali e alle innovazioni tecnologiche”. “Non ci può essere una Scuola e una Università di qualità senza docenti all’altezza del compito, per questo – aggiunge – diventa cruciale la lotta alla precarietà che impedisce di stabilire efficaci relazioni educative”.
La “riforma” Gelmini – continua il capogruppo Sel – impone un indirizzo centralistico ed assegna un ruolo decisivo al ministero dell’economia. Un assetto autoritario e gerarchico, attuato con lo svuotamento del senato accademico e l’accentramento dei poteri nei consigli di amministrazione. Il ministro dice di voler colpire le baronie ma, in realtà, le accresce, mentre non offre prospettive alle nuove generazioni: ai ricercatori, ai precari, ai dottori di ricerca e ai neo laureati che vogliono intraprendere una carriera scientifica. Per contrastare il disegno regressivo del governo e per superare le incertezze delle forze di centro-sinistra presenti in Parlamento, c’è bisogno di un più forte e netto rifiuto alla “ricetta Tremonti-Gelmini.
Anche in questo caso, non si tratta di conservare lo ‘status quo’ ma di puntare su una Università autonoma e responsabile. Per questo, non c’è bisogno di riforme epocali, ma di correggere le distorsioni esistenti e di imboccare la strada della responsabilità, dell’investimento di risorse mirato a fare svolgere all’Università un ruolo propulsivo per lo sviluppo del Paese”.
“Infine – continua Romaniello – c’è la ricerca caratterizzata da bassi investimenti (metà della media europea), un fattore che contribuisce alla debolezza dell’Italia nella competizione globale. Ancor più importante dei finanziamenti, però, è la valorizzazione del fattore umano. Secondo la UE, nei prossimi anni, serviranno 700.000 nuovi ricercatori in Europa e bisognerà garantire maggiore integrazione tra ricerca e società civile. Il governo si muove in direzione opposta tagliando finanziamenti, precarizzando i ricercatori (40 per cento è rappresentato da assegnisti, borsisti, co.co.co e collaboratori a progetto) e svuotando l’autonomia della scienza con l’aziendalizzazione della ricerca pubblica”.
“Per rilanciare la ricerca in Italia, invece – conclude Romaniello – c’è bisogno di significativi investimenti e, contemporaneamente, dell’immissione di nuove energie, di giovani ricercatori che portino nuova linfa ad un sistema che, con il blocco dei turnover, ha visto un invecchiamento che non ha eguali in Europa (età media oltre i 50 anni) e che rischia di creare un vuoto generazionale”.

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