“Frena l’emorragia delle imprese agricole lucane. Dopo un primo trimestre devastante per il settore con la chiusura di 652 imprese (430 in provincia di Potenza e 222 in quella di Matera), tra aprile e giugno si registra un piccolo segnale positivo. L’imprenditoria agricoltura lucana segna una lievissima crescita di 78 aziende (199 nuove iscrizioni e 121 cessazioni) di cui 48 in più nel Potentino e 30 nel Materano. Nel complesso, al 30 giugno scorso, le imprese registrate alle Cciaa di Potenza e di Matera sono 18.921 di cui 18.738 attive (11.003 in provincia di Potenza e 7.735 in quella di Matera)”. È quanto riferisce, in una nota, la Confederazione italiana agricoltori che commenta i dati di Movimprese, presentati in occasione dell’assemblea annuale di Unioncamere.
“Si tratta – è scritto nella nota – di un primo accenno di ripresa che non basta a risollevare le sorti di un comparto in profonda sofferenza. Nonostante l’epidemia di imprese agricole dei primi mesi dell’anno sembra essersi arrestata, i produttori continuano a vivere una situazione drammatica. Strette nella morsa dei costi di produzione in costante aumento e dei prezzi all’origine tuttora poco remunerativi -spiega la Cia – le imprese agricole fanno fatica a ‘rimanere a galla’.
“A mettere sotto pressione il mondo agricolo è innanzi tutto il ‘capitolo fiscale’. Da una parte l’Imu, che si abbatte come un macigno sulle aziende, tassando terreni e fabbricati rurali. E dall’altra la macchina farraginosa della burocrazia: non solo costa al settore più di 4 miliardi di euro l’anno (di cui oltre un miliardo addebitabile a ritardi, disservizi e inefficienze della Pa), ma fa perdere a ogni impresa quasi 90 giorni di lavoro l’anno solo per rispondere a tutti gli obblighi fiscali e contributivi. Leggeri miglioramenti come questo vanno incoraggiati, perché l’agricoltura è fondamentale per il Paese, rappresentando oltre il 15 per cento del Pil. Ma – rileva la Cia – serve un impegno da parte della politica nel senso di una riduzione dei costi, di una semplificazione amministrativa e fiscale, di un miglioramento dell’accesso al credito, di contratti sicuri con i soggetti della filiera, soprattutto con la Gdo e di una spinta decisa verso l’aggregazione. Quanto al’Imu – sottolinea la Cia – i dati sono ancora incompleti. Per tirare le somme bisognerà aspettare dicembre, quando nel gettito dell’Imu rientreranno anche i versamenti dei fabbricati rurali non ancora accatastati e che obbligatoriamente dovranno essere registrati entro novembre. Allora si potrà capire, voce per voce, quali sono stati gli effetti dell’imposta sulle imprese agricole. Bisognerà anche vedere quanto hanno inciso l’esclusione per i comuni montani e parzialmente montani, che rappresentano più della metà dei comuni italiani, nonché la sospensione degli obblighi fiscali per le zone dell’Emilia devastate dal sisma. E comunque – continua la Cia – il dato fornito dal ministero dell’Economia è un dato parziale, mancando all’appello le cifre sui fabbricati rurali a uso abitativo e sui terreni.
D’altra parte, in attesa dei dati definitivi, su un punto non ci può essere smentita: è certo è che le aziende hanno pagato molto di più oggi con l’Imu – osserva la Cia – rispetto a quando c’era ancora l’Ici. Un nuovo ‘carico da novanta’ messo in atto anche su strumenti di lavoro come stalle e magazzini e che, unito alla burocrazia elefantiaca, ai costi di produzione in costante aumento e ai prezzi sul campo tuttora poco remunerativi, rischia davvero di far chiudere i battenti a migliaia di imprese agricole vanificando il risultato incoraggiante del secondo trimestre 2012”.
bas 07