Il sociologo e narratore, fondatore di #Lavorobenfatto, ha trasformato la sala B del Consiglio in una bottega, gli studenti della Consulta studentesca lucana in autori e il suo corso ha preso la forma di un racconto
Trasmettere ai giovani la consapevolezza che il lavoro ben fatto oltre ad infondere un senso di soddisfazione e, quindi, rappresentare motivo di orgoglio, consente di competere e collaborare in maniera più efficace, dare più valore alle reti umani, sociali e professionali, e può essere vissuto come strategia in generale per meglio cogliere le opportunità e, quindi, moltiplicarle. A farsi messaggero di quella che più che un approccio o pratica è una cultura, Vincenzo Moretti, sociologo e fondatore di #Lavorobenfatto e autore del Manifesto del Lavoro Ben fatto. Da narratore navigato, Moretti, per l’altra tappa di “Next Generation – Costruttori di futuro”, l’iniziativa promossa dal Consiglio regionale della Basilicata, in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale, nell’ambito dell’anno europeo dei giovani, è riuscito a catturare l’attenzione dei 28 ragazzi della Consulta studentesca che frequentano l’ultimo e il penultimo anno delle scuole superiori di Potenza e Matera e delle loro province. Insieme a Moretti il giornalista e facilitatore Vito Verrastro, già ideatore del podcast Lavoradio. Nella sala B del palazzo, dove si respirava un’aria di bottega artigiana, si è parlato di consapevolezza, di futuro e di passato, di determinazione ed empatia, delle difficoltà e del necessario coraggio per attraversarle, dell’importanza di decostruire e ricostruire.
I relatori si sono più volte soffermati su quanto sia importante riuscire a superare la paura di cambiare lavoro, trovare il coraggio di rimboccarsi le maniche e ricominciare ad agire senza farsi prendere dallo sconforto. I ragazzi, accompagnati da Barbara Coviello, referente dell’Ufficio Scolastico Regionale della Basilicata, prima di esprimere la loro creatività in attività di gruppo, hanno ascoltato la testimonianza di Vito Verrastro il quale, parlando della propria esperienza maturata con “Lavoradio”, ha fatto riferimento ai continui mutamenti che hanno toccato il mercato del lavoro in questi ultimi anni. Mutamenti che richiedono elasticità mentale per accogliere il cambiamento, resilienza intesa come capacità di essere tenaci nel seguire il cambiamento, affrontando anche situazioni difficili o negative. Verrastro ha insistito sul fatto che diventa determinante avere una disposizione d’animo positiva. “Il mio suggerimento è vivere il cambiamento – ha sottolineato – che parta da noi oppure determinato da una conseguenza di un evento esterno – come un’opportunità. Un modo per misurarsi con nuove esperienze, prendere consapevolezza delle proprie capacità, senza aver timore di cambiare rotta e andare avanti con determinazione. Altra leva strategica – ha suggerito Verrastro – è quella di alimentare la creatività, risorsa indiscussa per ricominciare e affrontare nuove sfide”.
“Il lavoro ben fatto – ha più volte ripetuto Moretti girando tra i banchi e sedendosi accanto ai ragazzi – è un modo di essere e di fare per abituarci a mettere la testa (quello che sappiamo), le mani (quello che sappiamo fare), il cuore (la passione, la voglia di farcela) in ogni cosa che pensiamo e facciamo. Un modo di fare che trae linfa dalle parole e dalle azioni, strumenti che hanno il potere di cambiare il mondo, i suoi assunti di base, i suoi valori espliciti, le convinzioni più profonde”. “Carissimi ragazzi – ha detto a più riprese il sociologo – ricordate sempre che ascoltare è importante e, altrettanto importante, è imparare, sempre. Imparare significa aprirsi al nuovo, rimettere in discussione vecchi convincimenti, riflettere su nuove opportunità. Significa trarre insegnamento dagli errori, mettere alla prova le proprie competenze e i propri limiti”.
“Nei miei laboratori – ha evidenziato Moretti – mi prefiggo di trasmettervi piccole pillole di saggezza. E così provo a farvi capire che occorre conoscere a fondo il proprio lavoro, che è necessario aver cura dei ferri del mestiere, che è indispensabile considerare la diversità un valore e avere rispetto del lavoro e di chi lavora, a prescindere dal lavoro che fa. Con esempi del mio vissuto cerco di farvi cogliere la bellezza di fare bene le cose. Di farle bene perché ha senso, perché è bello, è giusto, è possibile e, soprattutto, conviene. Tento di far affermare un principio a me caro: quello di dare più valore a quello che sappiamo fare e meno valore a quello che abbiamo. Siate sempre, cari ragazzi, agenti partecipanti, invece che spettatori”. Moretti imposta ogni corso come un racconto, considera ogni classe una bottega e ogni studente un autore.
“La classe – precisa sempre durante gli incontri – è un’organizzazione che apprende, un luogo sociocognitivo serendipitoso in cui le cose che la/il docente sa e sa fare si ibridano e si moltiplicano nella relazione con il sapere e il saper fare di ogni sua e suo componente. La classe pensa e fa, dunque impara”.
Un principio che nel tempo, ci ha fatto intendere Moretti, si è dimostrato foriero di risultati interessanti per i ragazzi che si sentono stimolati a pensare, a mettersi in contatto con gli altri, ad essere pronti a sperimentare nuovi percorsi senza avere il comprensibile timore di sbagliare. Una bottega dove “fare – come ama ripetere ogni volta il sociologo – è pensare, con l’accento sulla e. Lo spazio nel quale condividere un metodo e imparare a usare meglio gli arnesi che servono per scrutare i segni del tempo, come ci ha raccontato Kant, per esplorare il futuro, come invece avrebbe detto Eliot, insomma per ideare, organizzare e realizzare idee e progetti”. Una didattica artigiana quella sua che ha l’ambizioso obiettivo di “costruire significati, creare conoscenza, realizzare progetti, sperimentare possibilità”.
Gli studenti lucani si sono divisi in quattro gruppi ispirati ciascuno a un caso studio. “Gruppi quanto più eterogenei” come ha suggerito Moretti, quale omaggio alla bellezza della diversità. Il primo gruppo ha proposto una serie TV interattiva sul tema del lavoro che c'è; il secondo ha optato per “Artiamo, idea imprenditoriale basata sull'arte”; il terzo si è misurato con una campagna civile sui diritti delle donne tramite manifesto, poesia e disegno. L’ultimo gruppo si è cimentato con un cortometraggio interattivo sulla storia di due amiche che alla fine convergono su un percorso di senso.
Ogni gruppo aveva come mission quella di progettare e realizzare un progetto (prodotto, manufatto narrativo, ipotesi di lavoro o di impresa). Ad esporre il progetto un portavoce che, oltre a raccontare il lavoro fatto e il suo senso, si è soffermato sulla valutazione e individuazione dei punti di forza e di debolezza del lavoro. Un modo per sviluppare quell’importantissima capacità di analisi che consente poi di misurare i risultati ottenuti, valutare opportunità e rischi e, soprattutto, far tesoro dell’esperienza maturata.
Visibilissima la soddisfazione dei giovani per la qualità del tempo speso, per le energie positive messe in campo, per il clima di grande collaborazione, quella cooperazione che si fa ricchezza e terreno su cui costruire con maggiore facilità. Cinque ore trascorse insieme, durante le quali hanno avuto modo di apprezzare la grande preparazione di Moretti e le sue doti di “trascinatore”. Chiare le sue competenze relazionali e altrettanto evidente il suo saper ascoltare e stimolare, infondere la voglia di imparare, di andare oltre i limiti che la nostra testa ci impone. Durante la mattinata, oltre a trasmettere il suo sapere, ha trovato sempre l’occasione per ribadire quanto sia vitale avere fiducia in sé stessi, investire sul senso dell’umorismo che consente di alleggerire le tensioni, porre in circolo nuove energie. Ha fatto capire che, a volte, è necessario mettersi alla ricerca di sé, della propria identità, creando il subbuglio che ogni cosa nuova determina. Ha più volte ribadito che ciascuno di noi è in grado di lasciare un segno capace di incidere sulla realtà che ci circonda. L’auspicio è che esperienze come queste servano ai giovani per capire che la passione può trasformarsi in un motore per cercare, costruire e mantenere un lavoro, che la formazione e l’aggiornamento diventano investimenti per diventare competitivi.
Citando George Bernard Shaw, Moretti nel suo libro “Il lavoro ben fatto. Che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo” trasmette l’idea di un territorio che necessita di essere raccontato, di essere considerato, “un Paese capace di sognare cose che non esistono e di domandarsi perché no”. L’autore ha un intento ambizioso: la rivalsa dell’Italia dei cittadini di tutti i giorni, delle persone che hanno passioni e praticano con passione un “lavoro fatto bene”, come il buon Pepè, ristoratore di 70 anni nonché esempio vivente di come il lavoro sia vita e la vita sia lavoro.