Cinti Grassano: riapre grotta cantina Santoro

Verrà aperta al pubblico a Grassano per la prima volta, sabato 11 ottobre alle 16,00, la Grotta-Cantina Santoro, che diventa museo didattico, restaurata e riportata all’aspetto d’inizio Novecento. Al suo interno gli strumenti originali che il professor Giuseppe Santoro aveva custodito.

Verrà aperta al pubblico a Grassano per la prima volta, sabato 11 ottobre 2025 alle 16,00, la Grotta-Cantina Santoro, restaurata e riportata all’aspetto d’inizio Novecento. Al suo interno, si legge in una nota dei volontari del gruppo di valorizzazione locale “Alla scoperta di Grassano” –   gli strumenti originali che il professor Giuseppe Santoro aveva custodito con amore: un lascito prezioso che oggi diventa museo didattico per le nuove generazioni. L’inaugurazione è anche un omaggio alla sua memoria, a cinque anni dalla scomparsa, e al suo instancabile impegno civile.

Il pomeriggio continuerà alle ore 18 nel settecentesco Palazzo Materi. Dopo i saluti del sindaco Filippo Luberto, la professoressa Luisa Sabato dell’Università di Bari racconterà il valore geologico e antropologico dei Cinti, mentre l’architetta Lucia Berloco, che ha diretto i lavori di restauro della cantina, illustrerà come le antiche pietre abbiano ritrovato respiro senza perdere la loro ruvidezza originaria.

Un invito, dunque, ad attraversare i Cinti come in un viaggio: dalle leggende dei monacelli alle cantine che odorano ancora di mosto, fino ai palmenti che raccontano la fatica del vino, per riscoprire la Grotta-Cantina Santoro, che riapre al paese come memoria viva e luogo alla comunità.

 

“Ci sono luoghi – racconta la nota del gruppo di ricercatori e studiosi ‘Alla scoperta di Grassano’ –  che non hanno bisogno di voce, perché parlano da soli. I Cinti di Grassano, in Basilicata, sono uno di questi.
Basta imboccare l’antico sentiero acciottolato che parte dai resti dell’antico Castello dei Cavalieri di Malta e all’ombra della Chiesa Madre del paese, per sentirsi trasportati indietro nel tempo.

Il percorso è stretto tra una profonda scarpata e un’imponente parete di terra che mostra un autentico spaccato della storia geologica della valle del medio Basento: strati alternati di conglomerati e sabbie, con colori che vanno dal rosso ruggine al giallo paglierino. Qui si distinguono tante stratificazioni e, non di rado, si rinvengono conchiglie fossili che ricordano come questa zona fosse un’antica spiaggia lambita dal mare, 1 o 2 milioni di anni fa.

In questa “montagna di terra” nei secoli sono state scavate numerose cantine, ognuna con una facciata diversa di mattoni rossi e ciottoli (i chiact’), con grandi portoni e strette finestrelle da cui filtra appena un filo di luce. Dietro quelle facciate si estendono profonde navate scavate nella collina, che terminano in una struttura semicircolare detta “la sacrestia”, dove si custodisce il vino migliore.

Qui sopravvivono i palmenti: vasche ampie in muratura, talvolta realizzate con materiali di recupero – una colonna, un pezzo di portale – dove l’uva veniva pigiata e lasciata fermentare. Alcuni conservano decorazioni a rilievo raffiguranti simboli legati alla viticoltura: piccoli segni che raccontano la fede, l’ingegno e la fatica dei contadini.

Su questo paesaggio aleggia da sempre un velo di storie che parlano dei Cavalieri di Malta, antichi padroni delle cantine, e di spiritelli dispettosi. Ancora oggi i vecchi del paese ricordano i monacelli, spiritelli che infesterebbero le cantine più antiche. ‘Meglio non passarci vicino al buio” ammonivano, ‘perché il diavolo ci sta in agguato’. Un luogo che, anche nella sua asprezza, custodisce un legame indissolubile tra natura e memoria”.

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