"Saipem va a fondo": mai articolo, pubblicato ormai un anno fa sul portale di Beppe Grillo
è stato tanto preveggente.
La società controllata dall’Eni, la più grande e «la più corrotta azienda italiana», ha ammesso ciò che molti sapevano da tempo di avere 8800 esuberi da licenziare in tre anni e di doversi confrontare con 998 milioni di euro di debiti. Ha anche ammesso che deve demolire cinque navi della sua flotta: stima tenuta molto bassa, se pensiamo che tra le cinque piattaforme non c’è una delle sue ammiraglie, la Saipem 7000, la quale andrebbe, ad esempio, fermata subito perché non a norma. Si dovrebbe indagare sulle certificazioni navali della Società Anonima di perforazione e montaggio.
Lo sostiene in una nota il senatore Vito Petrocelli del Movimento 5 Stelle.
“In una riunione dell’altro giorno – aggiunge l’esponente di Palazzo Madama – con i direttori di area, l’attuale Ad della Saipem, Stefano Cao, avrebbe anche affermato che, se il prezzo del greggio rimane fermo ai valori attuali (intorno ai 50 dollari a barile), la società non farà utili e, se prenderà lavori, saranno tutti in perdita, a riprova ulteriore che il petrolio non fa più rima con “oro nero.
L’Ad Cao avrebbe anche ammesso che il debito societario è maggiore del valore della stessa società. Dunque, chi compra titoli Saipem – avverte Petrocelli – è bene saperlo, acquista debiti e non azioni. Queste ultime oramai sono in discesa vertiginosa da quando Beppe Grillo, che ho accompagnato in rappresentanza del M5S, è andato a denunciare, all’assemblea degli azionisti Eni, il sistema corruttivo di portata internazionale messo in piedi dalla più grande società italiana, definendola «un’attività criminosa retta dalla corruzione, dal governo e dai Paesi africani». Puntando il dito sulla gestione affaristica sia dell’Eni che della Saipem, perfettamente in linea col sistema imprenditoriale del Paese: Parmalat, Telecom, Mps, Alitalia e ora Saipem sono lo specchio della cultura politica della razza padrona che sta svendendo non solo l’argenteria del Paese e i diritti dei sui abitanti, ma anche il suo buon nome nel mondo.
È dal 2013 che il M5S denuncia la distorsione del sistema Italia e, in questo caso specifico, anche l'affaristica gestione dell'Eni, andata in scena, purtroppo, per mare e per terra.
È dal 2013 – aggiunge – che chiediamo ai ministri vecchi e nuovi dell'ambiente, del lavoro e dello sviluppo economico, di rispondere a delle precise accuse in merito alla possibilità che la controllata dell'Eni, la Saipem, possa aver utilizzato personale specializzato, con certificazioni falsificate sulle loro reali competenze tecniche, e che possa aver condizionato a suo favore le certificazioni navali che garantiscono la sicurezza e, indirettamente, anche il valore commerciale della sua flotta off-shore.
È dal 2013 che denunciamo che siamo di fronte al più grande caso di evasione/corruzione della storia della navigazione italiana, ma i ministri italiani non rispondono ad alcuna nostra richiesta di trasparenza, perché l’affarismo imprenditoriale si nutre di queste complicità di Stato.
Due anni di lavoro – sottolinea in conclusione il senatore lucano M5S – che hanno portato alla nostra richiesta di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare sull’Eni e le sue consociate, mentre nella realtà, come dovrebbe funzionare nelle democrazie compiute, tutto questo nostro impegno di denuncia, avrebbe dovuto portare già da tempo a un intervento risolutivo del governo, prima che la più grande e rappresentativa azienda del Paese iniziasse a essere irreversibilmente vittima della sua stessa gestione affaristica. Solo che al nostro governo è stato detto di fare come gli struzzi”.
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