“Next Generation”, il potere della contaminazione dei saperi

Ne abbiamo parlato con lo scrittore Giulio Xhaet e con il giornalista lucano Vito Verrastro

“Il futuro non si attende, si prepara”. Ad affermarlo il filosofo Umberto Galimberti in un messaggio alle nuove generazioni, al Next di Milano. Un’impresa di buon senso, non facile ma sicuramente da centrare, investendo nella qualità dell’istruzione e della formazione del capitale umano, comprendendo il senso profondo delle dimensioni del tempo, sperimentando, favorendo occasioni di confronto per comprendere le opportunità da afferrare. Un convincimento diventato nel corso di questi ultimi tempi un’esigenza pressante che vede i giovani in prima fila. E’ partendo da queste riflessioni che il Consiglio regionale della Basilicata, cogliendo l’opportunità fornita dall’Unione europea che ha proclamato il 2022 l’Anno Europeo dei Giovani, ha programmato “Next Generation – Costruttori di futuro”, un percorso per far riflettere i giovani lucani su temi importanti quali Europa, lavoro, volontariato e green economy. L’iniziativa, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale, ha dato spazio ad un’interazione intergenerazionale tra studenti e stakeholder esperti, durante la quale sono emerse le esigenze dei giovani e sono state raccolte proposte da loro avanzate. Durante gli appuntamenti si è discusso del contributo che la gioventù europea può dare nella costruzione di un futuro migliore: più verde, più inclusivo e più digitale e si è dato spazio a concetti quali cambiamento, partecipazione, competenze trasversali, contaminazione. La contaminazione positiva, quella capacità che sta acquisendo sempre più importanza rispetto al passato e che si traduce nell’imparare a muoversi tra discipline, saperi e culture diverse, con linguaggi che si mescolano e si arricchiscono reciprocamente, è diventata, durante la manifestazione organizzata dal Consiglio regionale della Basilicata, motivo di riflessione. I ragazzi che vi hanno partecipato, stimolati da Vito Verrastro, giornalista lucano, orientatore e autore del podcast “Lavoradio”, in quella sede in veste di facilitatore, hanno provato a misurarsi con la paura che sta dietro ogni cambiamento, a pensare che cambiamento, spesso, significa opportunità di crescita.

Di contaminazione parla nel suo saggio #Contaminati – connessioni fra discipline, saperi e culture, Giulio Xhaet, coordinatore scientifico del master “Nuove Professioni Digitali”, organizzato dalla Business School del Sole 24 Ore, e docente per scuole professionali e università. Con lui, che ha constatato sulla propria pelle cosa significa cambiare, sperimentare nuovi percorsi, e quanto sia determinante avere delle passioni, proviamo a far capire quanto sia importante mettersi a caccia di connessioni inaspettate. 

Giulio: chi ha letto il tuo saggio dice che si tratta di “un libro che contamina attraverso le sue parole e che alla fine della lettura non si può più essere la stessa persona che l’ha iniziato”. Vuoi raccontarci cosa ti ha spinto a scrivere questo saggio?

Il libro nasce da un'osservazione che ho fatto negli ultimi anni: vedevo che sempre più persone che erano soddisfatte di ciò che facevano, sia dal punto di vista lavorativo che personale, la maggior parte delle volte non avevano una carriera lineare, della serie “Studio X faccio il master X faccio lo stage x e continua a fare X per tutta la vita”, e non erano neanche iperspecialisti. Erano invece delle persone che avevano dei percorsi ibridi: cominciavano a fare qualche cosa, poi si interessavano ad altro, e a volte cambiavano anche molto spesso lavoro mestiere o settore. Non voglio dire che non esistano più iperspecialisti o non dovrebbero esistere, ma oggi più che nel passato dobbiamo tornare a vedere le cose con una visione interdisciplinare, contaminata. Dobbiamo farlo ripensando a periodi del passato come il Rinascimento in cui la contaminazione era la norma. L’emblema di questo assunto è Leonardo da Vinci: per “fare” un nuovo Leonardo da Vinci oggi ci vorrebbero 13 iperspecialisti! Complice tutto ciò che sta accadendo nel mondo dell'intelligenza artificiale generativa, oggi servono delle persone che abbiano una visione multiprospettica, e che magari abbiano fatto cose molto diverse nel loro passato, per poi andare a fare cose nuove con una mentalità che è di nuova generazione, contaminata.

Giulio: Al giorno d’oggi non è quasi più di moda considerarsi arrivato, esperto di una specifica disciplina. La società attuale richiede di essere dinamico, mutevole, adattabile. Come si fa per arrivare ad esserlo?

Nella richiesta di essere sempre dinamici, mutevoli ed adattabili c'è una trappola, che è racchiusa nella parola “sempre”: non bisogna sempre cambiare, non bisogna sempre essere resilienti, non bisogna sempre uscire dalla zona di comfort o ampliarla, ecc. Il punto sta nel trovare un giusto equilibrio che si basa su come sei fatto tu e i contesti su cui puoi avere una sfera d'influenza e in cui puoi essere valorizzato. Bisogna fare un lavoro profondo su di sé e sul contesto: è lì che si attiva il muscolo della curiosità, in cui impari rapidamente cose anche diverse, perché ti appassionano, e a quel punto puoi dare il massimo per un certo periodo e, tuttavia, essere anche capace di goderti il “cazzeggio”. Abbiamo anche bisogno della famosa noia generativa, dell’ozio creativo richiamato spesso da De Masi, per “innalzare i picchi” – ovvero dare il massimo nel lavoro, magari per produrre e rispettare delle scadenze – ma anche per “abbassare le valli”, concedendosi la gioia pura del dolce far niente quando si può.

Giulio: Il Consiglio regionale della Basilicata, con questa manifestazione, ha voluto far vestire ai giovani lucani i panni di costruttori di futuro. Quanto è importante creare occasioni di confronto, e quanto è strategico che mondo della scuola e istituzioni si mettano insieme per ascoltare la voce dei giovani, spronarli a seguire le proprie passioni e ad essere capaci di sperimentare nuove vie?

I momenti di confronto sono sempre necessari, magari creando delle situazioni dal vivo che sono coinvolgenti, forti, emozionanti, e un continuum di mantenimento delle attività anche online. Come fa la community di Learnn, di Luca Mastella, un caro amico imprenditore che ha lanciato questa piattaforma (un Netflix italiano per la formazione sul digitale). Siamo tutti online, ma l'anno scorso si è creato questo evento offline in cui ha riunito la community di 1000 persone che per tre giorni si sono conosciute, hanno interagito, hanno immaginato idee e nuovi progetti. L’altra questione fondamentale è creare dei punti intergenerazionali che vadano oltre le parole. Io non ho imparato così tanto come negli ultimi anni sulla comunicazione e sul digitale frequentando persone molto più giovani di me e molto più vecchie di me. Altrimenti finiamo nella “bolla generazionale” in cui facciamo l'evento dove parliamo dei giovani ma siamo tra noi quarantenni che ce la cantiamo sul palco. No, facciamo delle cose con i giovani e anche con quelle persone di 60-70-80 anni che hanno una visione, all’apparenza vetusta ma che invece ci racconta cose interessantissime. E’ una modalità che possono sperimentare anche le aziende, abbattendo i bias delle diverse generazioni: partire da ciò che si ha in comune, una passione personale: calcio, corsa, scacchi, animali: si trovano affinità e da lì poi le persone cominciano ad annusarsi e a provare piacevolezza nel frequentarsi e nel passare tempo insieme in maniera costruttiva.

Vito: Tu da sempre accendi i fari su storie di chi si è messo in gioco e di chi ce l’ha fatta, per trasmettere ai giovani un esempio concreto di come muoversi in un mondo che cambia repentinamente e mette in discussione ogni certezza raggiunta e racconti di quanto sia importante cogliere l’opportunità di contaminarsi positivamente. Di quanto faccia bene.

Come dico spesso, sono cresciuto a “pane & Millionaire”, la rivista di business più letta in Italia. Lì dentro, ogni mese, fin da quando avevo 15-16 anni, mi immergevo in storie fantastiche di chi si era messo in gioco, inventava, sperimentava, metteva in atto un’idea e magari falliva, ma ci riprovava, con l’entusiasmo, la passione e la curiosità che trasparivano da ogni intervista, da ogni storia. E ’lì che si è formata questa mia visione costruttiva sul lavoro che si basa sull’esempio, perché l’esempio abbatte gli alibi. Possiamo dire e pensare che qui in Basilicata, o al Sud, non funzioni nulla (credendo ad uno dei paradigmi errati ma striscianti), ma quando ci troviamo di fronte a degli esempi di persone che in vari campi ce l’hanno fatta a diventare bravi “dalla” Basilicata (non solo in Basilicata) o “dal” Sud (non solo al Sud) – assurgendo a protagonisti su scala nazionale o internazionale -, dovremmo pensare che, forse, allora, potremmo farcela anche noi. E’ questa la visione che dovremmo trasmettere ai nostri ragazzi: più esempi e più contaminazioni, perché le differenze e le diversità arricchiscono sempre. Anche quelle generazionali. Next Generation – Costruttori di Futuro ne è la prova lampante.

Vito: Uscire dalla comfort zone significa, innanzitutto, cambiamento, opportunità di crescita, apprendimento di attività nuove, confronto con nuove persone. E’ sicuramente impegnativo smettere vecchie abitudini e abbracciarne nuove. Come ci si può preparare?

Questo è un punto-chiave. Siamo come dei computer con dei programmi pre-installati, che richiamano le credenze (spesso limitanti) generate dalla nostra infanzia, dalla famiglia, dal contesto ambientale, da ciò di cui ci circondiamo, dalle esperienze maturate, ecc.. E spesso ci rifugiamo nella trappola del “Sono fatto così”, rinunciando invece a lavorare su di noi per tirare fuori il meglio e ri-programmarci in maniera costruttiva. Se conoscessimo i tanti “punti ciechi” del nostro cervello, che lavora soprattutto per risparmiare energia, ci renderemmo conto delle forti limitazioni che ognuno di noi ha. Purtroppo la biologia influenza la psicologia, i pensieri, gli atteggiamenti e i comportamenti, ed è per questo che va fatto un lavoro profondo su noi stessi; quando saremo capaci di mettere in dubbio le nostre certezze e di guardare le cose da differenti punti di vista, confrontandoci con ambienti e persone diversi da quelli della nostra bolla abituale, potremo davvero dire di essere persone nuove, aperte, empatiche, emotivamente intelligenti (che significa empatici, automotivati, ottimisti, capaci di generare relazioni profonde). E’ un duro lavoro e richiede tempo, ma è il miglior investimento che possiamo fare.        

Vito: La competenza è indispensabile per il futuro. Occorre imparare e aggiornarsi continuamente. Ma quanto è strategico essere curiosi, malleabili, saper ascoltare e dare una svolta alla propria vita e quanto è necessario mettere in conto che si può fallire e che bisogna ripartire?

La sfida del presente e del futuro si gioca sulle competenze e sull’occupabilità, ovvero l’abilità di lavorare continuamente su noi stessi per acquisire competenze e rimanere appetibili rispetto ad un mercato del lavoro che cambia velocemente”. Ciò significa che i titoli di studio e le certificazioni sono molto importanti ma diventano relativi, che l’accelerazione tecnologica rende le competenze tecniche a rapidissima obsolescenza; ecco perché la meta-competenza del futuro è quella di “imparare a imparare”. Come tutti gli altri fattori immateriali, “soft”, ci conferisce un potere straordinario. Ecco perché le aziende iniziano a preferire gli appassionati e i curiosi agli esperti; ecco perché nel curriculum i recruiter vanno a curiosare soprattutto nella sezione “hobbies, interessi, passioni”: è il fattore umano a fare la differenza, in termini di curiosità, passione, capacità di osservare, di stare con gli altri in maniera empatica e costruttiva, di esercitare la curiosità per affrontare e risolvere i problemi. Richiamavo l’intelligenza emotiva come una delle meta-competenze strategiche fondamentali, ma al centro della nostra azione ci deve essere anche e soprattutto una comunicazione costruttiva che parta dall’ascolto attivo, di noi stessi e di ciò che ci circonda. E c’è un nuovo dialogo da intraprendere, con noi stessi e con gli altri, che deve essere gentile, morbido, capace di perdonare: ciò significa che se ci va male qualcosa non dobbiamo metterci addosso l’etichetta dei falliti, ma dobbiamo fare un’analisi attenta di ciò che quell’esperienza può insegnarci, perché solo così possiamo crescere. E’un cambio copernicano rispetto a quello che fin dalla scuola accade, e cioè la criminalizzazione dell’errore, l’enfatizzazione del voto e del giudizio, l’accento sempre troppo calato sulle nozioni e sempre troppo poco sulle emozioni. In questo mondo così complesso, ambiguo, volatile e incerto, pensare ad una linearità senza errori è pura utopia.

 

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