Antonio Santangelo, in qualità di segretario regionale della organizzazione sindacale FIMMG (Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale), rende noto, attraverso un comunicato stampa, di aver inviato una nota alla procura regionale Corte dei conti in relazione “alla manifestata intenzione di codesta Procura di promuovere azione di responsabilità amministrativa nei confronti dei componenti della Giunta Regionale in carica nel 2008 e di alcuni dirigenti della Regione Basilicata per la sottoscrizione dell’accordo integrativo regionale per la disciplina dei rapporti con i Medici di Medicina Generale (BUR Basilicata 1.4.2008)”.
“E’ opportuno premettere – scrive Santangelo – che il presente intervento non è finalizzato a supportare le ragioni difensive che ciascuno dei soggetti individuati come responsabili, invitati a contro dedurre, sottoporrà a codesta Procura, ma è dettato esclusivamente dall’interesse autonomo di ribadire e salvaguardare il ruolo di questa organizzazione sindacale firmataria dell’accordo integrativo, nonché di tutelare i propri iscritti che dall’iniziativa intrapresa da codesta Procura, e già prima dell’eventuale instaurazione di un giudizio contabile, hanno subito e stanno continuando a subire pregiudizi economici in seguito alla sospensione delle indennità previste nell’accordo, cautelarmente adottata dalla Regione Basilicata con delibera della Giunta 347/2017.
Non può, infatti, dubitarsi che le contestazioni mosse da codesta Procura attengono non già ad una violazione di legge in senso tecnico ma all’individuazione del margine di autonomia concesso alla contrattazione integrativa: una questione che deve essere affrontata nell’ambito del quadro legislativo che la regola ma con riferimento alla natura negoziale dell’attività che implica la presenza di due parti, pubblica e privata, che si affrontano in una trattativa che ha lo scopo di contemperare gli interessi contrapposti.
Quando la trattativa ed i risultati raggiunti sono conformi alla legge, il sindacato giurisdizionale, amministrativo e contabile, sull’operato anche solo della parte pubblica che investe l’interpretazione dei contratti e gli istituti ivi contemplati rappresenta un vulnus all’autonomia contrattuale in grado di condizionare in modo pesante la trattativa ed il sistema delle relazioni sindacali nel suo complesso.
In seguito alla privatizzazione del pubblico impiego di cui al D.lgs 165/2001, l’attività contrattuale collettiva nel settore pubblico è stata modellata “sul paradigma di quella tipica del rapporto di lavoro privato nel senso che è la contrattazione collettiva a determinare i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali, disciplinando, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli di contrattazione, e la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi” (Cass. SS.UU. ordinanza del 14.7.2015 n. 14689).
In particolare l’art. 40, comma 3° del decreto legislativo 165/2001, nel testo applicabile alla fattispecie in esame, e cioè prima degli ulteriori limiti e controlli introdotti dal D.lgs 27.10.2009 n. 150, prevede espressamente che le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nei limiti dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.
Tale autonomia trova l’ulteriore limite nei vincoli posti dai contratti collettivi, nel senso che, nelle materie affidate alla contrattazione integrativa, è possibile tutto ciò che non è espressamente vietato nei contratti collettivi.
L’accordo integrativo del 2008 per la continuità assistenziale, nell’integrare con l’art. 35 il trattamento economico base previsto dall’Accordo Nazionale, non ha violato le leggi di bilancio né ha introdotto indennità vietate dal medesimo Accordo Nazionale.
Infatti è lo stesso accordo collettivo nazionale che delega al livello di negoziazione regionale non solo la definizione degli obiettivi di salute ma anche la definizione di modelli organizzativi che, in coerenza con le strategie, le finalità e le situazioni particolari di ogni Servizio Sanitario Regionale, possono essere attuati attraverso l’incentivazione degli obiettivi perseguiti. Tra tali obiettivi e, con particolare riferimento alla continuità assistenziale, vi è quello della “organizzazione della presa in carico degli utenti da parte dei medici con il supporto delle professionalità sanitarie e la realizzazione della continuità dell’assistenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7…. e l’attuazione dell’art. 8, comma 2, lett. b, c, ed e” (art. 4, punto c e j dell’ACN).
Tale ultima disposizione riguarda in particolare la determinazione del compenso del medico c.d. accessorio che riguarda in particolare gli incentivi di struttura, di livello erogativo e di partecipazione degli obiettivi, che non attengono né alla retribuzione di compiti e funzioni aggiuntive né alla remunerazione legati al raggiungimento di determinati obiettivi e risultati, ma al superamento di specifiche problematiche.
E’ significativo, a tal proposito, quanto dispone il comma 7 dell’art. 14 dell’accordo nazionale che, ritenendo di dover precisare i contenuti demandati alla negoziazione regionale, precisa in modo chiaro a proposito dei compensi dei medici, che “gli accordi regionali disciplinano la forma, le modalità di erogazione e l’ammontare dei compensi, che sono corrisposti, in rapporto al tipo di attività svolta dal medico convenzionato, anche in forma associata. Nelle forme integrate di erogazione dell’attività professionale può essere prevista la fornitura di personale, locali ed attrezzature, di cui si tiene conto nella determinazione del compenso di cui alla linea precedente”.
In altre parole, se la Regione non è in grado di dare ai medici personale, locali ed attrezzature in grado di garantire l’espletamento della prestazione in adeguatezza e sicurezza, tali mancanze possono e devono essere compensate.
Pertanto, con l’accordo integrativo in questione, le cui clausole vanno in ogni caso interpretate complessivamente, rapportando il trattamento economico con quanto viene chiesto al medico con riguardo al rapporto ottimale (art. 27), alla organizzazione del servizio (art. 31), alla reperibilità (art. 33), ed alla pronta disponibilità, la Regione Basilicata ed i sindacati si pongono in primis l’obiettivo di assicurare un servizio efficiente, professionale e continuativo in una regione “con peculiari caratteristiche orografiche del territorio della Basilicata” (art. 27) che, come ha insegnato l’esperienza passata, aveva disincentivato i medici ad accettare incarichi di continuità assistenziale in località della Basilicata isolate, disagiate, insicure e prive di strutture.
In tale contesto organizzativo, per contrastare le scelte dei medici che preferivano accettare incarichi in regioni limitrofe ove l’attività viene svolta in centri urbani con un numero elevato di abitanti, e quindi senza la necessità di spostamenti rilevanti, ed in tutta sicurezza per la presenza di presidi informatizzati e muniti di personale di sorveglianza, le parti hanno comunque deciso di incentivare i medici verso una scelta più difficile e coraggiosa attraverso l’erogazione di incentivi a copertura dei maggiori rischi derivanti dalla peculiarità del servizio (€ 4,00 ad ora) e dei maggiori costi legati alla usura dei mezzi di trasporto personali utilizzati in strade piene di buche e deviazioni, frane e smottamenti, spesso sterrate.
Il rischio di prestare attività, soprattutto in orario notturno, rappresenta un dato oggettivo come oggettive sono le statistiche sulle aggressioni che avvengono ai danni dei medici di continuità assistenziale che prestano attività da soli in locali isolati e privi di altro personale. Ed è oggettivo il costo in più che deve sostenere il medico al quale l’Ente non è in grado di fornire mezzi di trasporto e che deve spostarsi, per raggiungere le sedi e le visite domiciliari con propri mezzi nella condizioni di viabilità sopra descritte.
Le stesse considerazioni valgono anche per l’indennità prevista per l’assistenza alla popolazione in età pediatrica che è stata calcolata in misura ridottissima (€ 0.50 ad ora), proprio perché si è preferito, per comodità, erogarla in modo forfettario sulle ore di servizio e non sui singoli interventi espletati dai medici a favore dei pazienti minori, che avrebbe comportato una indennità maggiore da erogare attraverso complesse ed articolate verifiche da parte delle aziende sanitarie.
Nel merito, la decisione di erogare tale indennità, rientra nell’autonomia delle parti di prevedere incentivi con riferimento ai punti b) e c) del citato art. 8 dell’accordo nazionale, in quanto la prestazione medica resa a favore della popolazione in età pediatrica ed in mancanza di guardia medica pediatrica, implica per il medico di continuità assistenziale una intensità assistenziale più complessa, alla quale è correlata una formazione ed una consulenza telefonica specialistica di primo livello al fine di migliorare l’accesso alle prestazioni stesse e contenere il ricorso al Pronto Soccorso, secondo quanto previsto dall’Accordo Integrativo Regionale per la Pediatria in Basilicata 2007 (Boll. Uff. Regione Basilicata n. 19 del 16.4.2007).
In definitiva, se gli accordi regionali – che per anni sono stati gli unici strumenti di adeguamento dei salari nel settore del pubblico impiego a fronte della mancanza dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali – in materia di rapporti con i medici di medicina generali hanno la funzione di disciplinare le forme, le modalità di erogazione e l’ammontare dei compensi per una parte eccedente la quota base, peraltro non soggetta a contributo previdenziale (art. 72, comma 3), l’indagine dell’autorità contabile non può spingersi a sindacare scelte oggettive dettate dalla peculiarità del Servizio Sanitario Regionale e che hanno consentito alla Regione Basilicata di coprire la continuità dell’assistenza su tutto il territorio regionale caratterizzato da una densità abitativa di 97ab. /Kmq (contro una media nazionale 306 ab./Kmq), una popolazione sparsa su un territorio montano (il 71,3% della superficie della Basilicata) e località prive di strutture ospedaliere (presenti in solo 5 ex comunità montane su 14)”.
bas04