Oggi 9 maggio in occasione del trentottesimo anniversario della morte di Aldo Moro va in scena a Palazzo San Gervasio, presso l’auditorium dell’Istituto d’Errico, lo spettacolo del giudice Ferdinando Imposimato e Ulderico Pesce. “Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi con la partecipazione dello Stato.” Questa frase è il fulcro dell’azione scenica dello spettacolo documentato dalle indagini del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per circa trentotto anni. Tra queste la presenza in via Fani, il 16 marzo del 1978, mentre ammazzano i cinque uomini della scorta e rapiscono Aldo Moro, del colonnello dei Servizi segreti italiani Camillo Guglielmi. Il titolo dello spettacolo è “moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia”, con la “m” minuscola, a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di Aldo Moro fosse stata “scritta”, fosse cioè necessaria per bloccare il dialogo con i socialcomunisti assecondando i desideri dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri americani in Italia rappresentati da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga che, dopo la morte di Moro, ebbero una folgorante carriera e condannarono l’Italia alla “sudditanza” agli USA. Moro sente che uomini di primo piano del suo stesso partito vogliono la sua morte e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leit motive dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”.
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