“La partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda è una vecchia idea della destra sociale che non può restare tra i buoni propositi o magari essere usata dall’ad Fiat Marchionne per ammorbidire tensioni operaie ancora vive a Mirafiori e Pomigliano, dopo le sofferti intese raggiunte, e che potrebbero ravvivarsi anche a Melfi e Cassino”. A sostenerlo è il coordinatore regionale di Fli sen. Egidio Digilio evidenziando che “Marchionne già l’estate scorsa ha lanciato l’ipotesi di estendere in Italia il Patto Sociale sul modello sperimentato negli Usa alla Chrysler. E’ evidente che i lavoratori e i sindacati devono “cedere” qualcosa se si vuole realmente cambiare le relazioni industriali e superare la visione veterocomunista della contrapposizione tra operai e padroni e quindi l’impossibilità di concordare azioni che vadano bene per entrambi. Alcuni sindacati, come Cisl, Uil, Ugl, Fismic hanno già manifestato prime ed importanti aperture da cui diventa possibile partire nel confronto con Fiat.
E’ necessario – a parere del coordinatore di Fli – un lungo e faticoso lavoro di concertazione sociale che contenga tutti gli elementi per una vera e propria riforma epocale, come fu quella che porta il nome di Marco Biagi, tra i quali la riduzione dell’imposizione sugli straordinari e in generale della pressione fiscali sui salari operai e la partecipazione agli utili dei lavoratori. Se questo modello di nuove relazioni industriali che richiede anche la modifica dell’attuale sistema di rappresentanza sindacale, superato nei fatti – afferma il senatore di Fli – si sta dimostrando estremamente importante in Germania dove negli ultimi tempi si registra una crescita economica significativa nel quadro generalizzato di rallentamento dei Paesi Europei, bisogna superare ogni forma di preclusione, specie se solo di natura ideologica. Per questo ritengo che la vicenda Fiat è la cartina al tornasole delle sfide politiche, sociali e tecnologiche che ci aspettano tutti per il futuro. Compito della politica – continua Digilio – è quello di venire incontro alle forze sociali ed imprenditoriali che rifiutano l’antagonismo e con coraggio vogliono seguire il percorso delle riforme a costo di accettare i sacrifici per salvare posti di lavoro e l’industria italiana dell’auto, stoppando ogni tentativo di delocalizzazione all’estero, con la prospettiva che quando la congiuntura economica lo consentirà ci siano profitti da ridistribuire tra i lavoratori. .Oggi occorre un nuovo “cervello sociale”, che ponga e ricomponga le parti in conflitto nel Novecento su un piano non di “pace sociale”, ma di cooperazione integrata funzionale al progresso delle singole aziende, e quindi di chi vive in esse, e del Paese in cui le aziende operano. Il modello – evidenzia Digilio – può essere quello della cogestione aziendale e della compartecipazione di operai ed impiegati agli utili (e alle perdite) e comunque allo sviluppo innovativo delle fabbriche. Ma ciò che tutto questo processo impone e chiede è innanzitutto l’ingresso dentro questo movimento della politica, di più politica, di una politica nuova e forte che purtroppo oggi, in Italia, pare ancora in gran parte latitante. Una politica forte è la risposta che si può e si deve dare sia per quanto riguarda la garanzia del profitto sia anche, e soprattutto, per quanto riguarda l’innovazione tecnologica e lo sviluppo, da un lato, e la garanzia effettiva dei diritti dei lavoratori, dall’altro. Il sindacato, se vuole sopravvivere e lavorare per il bene del Paese, di questo Paese, e quindi di chi ci vive, deve ripensare il proprio ruolo e rinnovarsi profondamente, per prima cosa dal punto di vista intellettuale. Qui – conclude l’esponente di Fli – il centrodestra deve saper elaborare gli strumenti e le proposte adeguate a questa nuova fase della modernità”.
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