“Nel 1987 lo Stato finanziò il Centro Orafo, una società italocinese, con l’art. 21 della legge 219. Spacciato per il più grande investimento industriale cinese in Europa – spiega il presidente del Cseres in una nota – doveva recuperare gli impianti della ex Memofil e dare lavoro a circa 100 lavoratori della ex Marzotto: 12 milioni di euro per gli impianti e oltre 800 mila euro per tre corsi di formazione” in quanto “l’azienda avrebbe lavorato quaranta tonnellate di oro all’anno proveniente dalla Cina. Tutti sapevano che dalla Cina non poteva arrivare nulla: era vietata l'esportazione del metallo. L'azienda, che negli anni ha cambiato quattro nomi, è fallita due volte (Cripo ed Orop), ha prodotto tre processi penali e lavoratori disoccupati dell'ex Marzotto più altri quaranta reclutati per corsi di formazione senza che neppure un grammo di oro delle previste quaranta tonnellate entrasse nella fabbrica. Di fronte alle inadempienze, alle irregolarità ai fallimenti, il Ministero dello Sviluppo Economico il 6 novembre 2006 revocò il finanziamento e chiese la restituzione di oltre 10 milioni di euro, oltre a disimpegnare circa 5 milioni del contributo residuo rimasto nelle casse dello Stato. A distanza di sette anni dalla revoca e dalla emissione della cartella esattoriale lo Stato non ha ancora recuperato “il maltolto”. Anche la Sinoro s.r.l., come le precedenti società, ha prodotto un fallimento e molto altro. In data 24/10/2013 il Tribunale di Potenza ha deciso il provvedimento” nominando il curatore fallimentare. “Lo stesso giorno, con tempestività olimpica – continua la nota del presidente del Centro Studi – Equitalia sud, che avrebbe in pancia un debito Sinoro di oltre 29 milioni di euro (capitale più interessi) derivanti dalla cartella esattoriale emessa per recuperare il finanziamento statale revocato, vende all’asta per 1.205.000 di euro il capannone di Tito alla società Sinorop, proprietà a maggioranza cinese, l’amministratore unico Mauro Nardelli già amministratore unico e poi A.D. della Orop (già Cripo), dal 1993 al 1999, e poi consulente Sinoro. La Orop, ricordiamo, fallì come la Cripo, con l’aggravante della bancarotta fraudolenta. Questa volta cambia la composizione della proprietà. Capitale sociale 10.000 euro, 500 euro Nardelli e 9500 la Beijing Diamend società di fabbricazione dei gioielli srl (domicilio: Gulou Xingwang, Cina, presso distretto Miyun del Beiji camera 502). La Sinorop è stata costituita a giugno 2012 quando la Sinoro non era ancora fallita. Una storia ricca di procedure fallimentari, processi penali che durano decenni con creditori, compresi i lavoratori in mobilità in possesso di provvedimenti esecutivi per salari e Tfr, con ricadute gravissime e danni per altre imprese fornitrici al netto di quelle pagate estero su estero .Tutto questo accade durante la gestione fallimentare delle precedenti società e della Sinoro. Ci sono norme precise che vietano la vendita in tali circostanze. Equitalia sud sapeva del procedimento in corso. Forse ha voluto fare cassa solo con qualche decimale percentuale della cartella Sinoro. Si dovrebbero accertare le responsabilità revocatoria la vendita e riutilizzare l’immobile ed macchinari ancora inscatolati e fatturati nel 2007 per circa 5 milioni, i fondi residui stanziati per circa cinque milioni rimasti allo Stato, e i livelli occupazionali fissati all’atto del decreto di finanziamento. Esiste un regolamento dell’Asi, articolo 13, che prevede tali misure. Basterebbe interrompere la pratica messa in atto anche molte altre situazioni come raccontato nel rapporto ”la Fabbrica del terremoto”. Almeno per tutelare la dignità e il ruolo delle Istituzioni e gli interessi pubblici. Il Consorzio Industriale di Potenza ,competente per l’assegnazione dei suoli, le riassegnazioni, l’uso dei capannoni e le prelazioni potrebbe inaugurare una nuova fase. La Regione Basilicata – conclude – uscita dal “grande sonno” iniziato nel 2008,anche su richiesta delle organizzazioni sindacali, ha convocato un incontro per affrontare la questione: ci dovrebbero essere anche il Curatore fallimentare, Equitaliasud, Asi le parti sociali ed i lavoratori. Si tratta di pensare un progetto di reindustrializzazione che non scada nella presa d’atto della vendita (qualcuno in Equitalia ha verificato modalità e contenuti) del capannone ai gestori dei precedenti fallimenti e truffe, alla svendita dei macchinari con prezzi da ferrovecchio, all’abbandono dei lavoratori in mobilità oltre, naturalmente, all’ennesima promozione della illegalità”.
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