Il consigliere di Sel commentando i risultati dello studio realizzato dall’Osservatorio Industria Cgil Basilicata concorda con le proposte indicate circa la creazione di un indotto locale per le produzioni dei grandi gruppi industriali”
“I risultati dello studio realizzato dall’Osservatorio Industria Cgil Basilicata e presentato dalla Cgil e dalla Flai ci consentono, innanzitutto, di avere un quadro aggiornato del comparto agro-alimentare lucano insieme ad un pacchetto di proposte concrete ed efficaci per il futuro del comparto, a partire dal Protocollo di intesa tra i soggetti sociali ed economici coinvolti e, ci auguriamo, consentano alla Giunta regionale di recuperare le disattenzioni mostrate e il tempo perduto per definire un programma di azioni ed interventi”. E’ il commento del capogruppo Sel in Consiglio regionale, Giannino Romaniello, per il quale “emerge con chiarezza che non c’è una strategia unitaria di interventi che non a caso sono divisi tra i dipartimenti Agricoltura e Attività Produttive, mentre alcuni programmi di spesa sono frantumati tra P.O. Val d’Agri, Programma Speciale Senise, bandi di reindustrializzazione e diversi enti erogatori di finanziamenti, richiamando l’urgenza di attuare l’attesa governance agricola, sempre più necessaria per Alsia e Arbea. Anche i tentativi degli anni passati di dotare l’alimentare lucano di un marchio unico di riconoscimento e valorizzazione delle produzioni di qualità non hanno dato i risultati sperati a fronte di una spesa non certo irrilevante”.
Per Romaniello “si tratta innanzitutto di assumere consapevolezza delle caratteristiche del nostro comparto agro-alimentare segnato dalla quasi totale assenza di una struttura imprenditoriale locale a livello industriale e di un più fitta rete di piccole e piccolissime imprese agroalimentari del territorio con più stretti rapporti con le produzioni agricole locali. Ancora, la maggior parte delle imprese di dimensione industriale è proprietà di Gruppi nazionali o esteri; in molti casi si tratta di stabilimenti terminali di trasformazione privi di attività decisionali in termini di investimenti sul territorio, se non all'interno di scelte aziendali a livello nazionale o internazionale; le attività di R&S sono quasi sempre assenti perché dislocate presso le sedi centrali, un aspetto che limita senz'altro le possibilità di sviluppo degli stabilimenti e più in generale l'attrazione di forza lavoro qualificata dedicata alle attività di R&S. Il punto più debole è rappresentato dalla mancanza di una filiera locale di approvvigionamento delle materie prime di origine agricola locale. Si verifica, infatti, che la maggior parte dei gruppi presenti ed operanti sul territorio trasformano, per le loro produzioni, materie prime agricole importate da fuori regione, o in alcuni casi provenienti dall'estero (come nel caso delle farine, che giungono dal Canada o dalla Russia, o come avviene per la trasformazione del pomodoro, dove solo il 40% del prodotto viene conferito da produttori locali, mentre si segnala l’arrivo persino di pomodoro cinese). Lo stesso fenomeno si verifica per tutto ciò che riguarda i materiali di imballo delle merci, il trasporto, i servizi di manutenzione e quelli più sofisticati riferiti agli aspetti tecnologici di nuova generazione, compresa l'installazione di impianti e strumenti per la mitigazione dell'impatto ambientale delle produzioni e la fornitura di soluzioni atte a ridurre i consumi energetici”.
“Per questo le proposte della Cgil – continua Romaniello – sono utili per realizzare un profondo cambiamento delle politiche agro-alimentari a partire dagli strumenti suggeriti volti alla creazione di un indotto locale per le produzioni dei grandi gruppi industriali alla crescita qualitativa delle produzioni e dell'occupazione, aumentando le opportunità di sviluppo nel campo della ricerca anche in collaborazione con gli istituti di ricerca pubblici già esistenti (Aqrobios, Alsia, Università, ecc.) alla promozione di filiere industriali strategiche; a favorire l'insediamento di nuove aziende sul territorio; a consolidare il tessuto delle piccole imprese locali attraverso strumenti consortili o di altra natura per la riduzione dei costi e la promozione sui mercati nazionali ed esteri; a rafforzare le opportunità occupazionali e i diritti contrattuali dei lavoratori del settore (compresi quelli impiegati stagionalmente o con contratti a termine, ad esempio sul piano formativo e professionale)”.
Secondo il capogruppo di Sel infine “una riflessione approfondita merita il comparto delle acque minerali che hanno visto da tempo un impegno di Sel, in particolare nel comprensorio del Vulture, per coniugare occupazione ed introiti adeguati alla Regione dalle concessioni”.