Per la presidente della Crpo intorno all’art.15 e alla discriminazione di genere c’è ancora molto da lavorare, sul fronte della politica, delle istituzioni, dei c.d. corpi intermedi, della pubblica informazione e dell’istruzione
“Il 20 maggio 1970 è una data storica per il mondo del lavoro: veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 300, Statuto dei diritti dei lavoratori, che porterà una svolta nelle dinamiche e relazioni del mondo del lavoro, risultato a cui si giunge grazie all’interscambio tra lavoratori, società civile, Istituzioni. L’art.15 dello Statuto dei lavoratori, relativo agli atti discriminatori, prevede la tutela dei diritti delle donne al pari dei diritti degli uomini, vietando ogni forma di discriminazione sessuale, e sancisce la nullità di ogni patto o atto che comporti una discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e, appunto, di sesso”. Così la presidente della Commissione regionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Margherita Perretti.
“La nozione di discriminazione sessuale – prosegue Perretti – è stata approfondita dall’art.4 della legge 125/91 (ora DL.198/2006 Codice delle Pari Opportunità), che definisce come tale ogni comportamento che produca un effetto pregiudizievole, discriminando, anche in via indiretta, i lavoratori in ragione del sesso. Del resto l’art.37 della nostra Costituzione stabilisce che ‘La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione’. Più chiaro di così! Da una lettura della normativa sembrerebbe, pertanto, che almeno in Italia nessuna disparità esista. In realtà, mai come in questo caso, la teoria è stata così distante dalla pratica. Ogni giorno, nel mondo del lavoro, le donne subiscono gli effetti della discriminazione di genere, la donna è penalizzata in ambito economico, politico e sociale. L’Italia è all’82° posto nella classifica mondiale del gender gap, posizione inaccettabile per un Paese Occidentale con una storia di democrazia”.
“L’emergenza da Covid19 – aggiunge ancora la presidente Crpo – ha visto le donne ‘eroine del lockdown’, con il loro lavoro instancabile nel settore sanitario, della cura e dei servizi, ma fortemente penalizzate sul fronte dello smartworking gestito con i figli a casa, quindi in condizioni di forti limiti e disagi, subendo una discriminazione indiretta, perché la prassi continua ad insegnarci che sono le donne a doversi sacrificare, a farsi carico della casa, della famiglia e dei figli, insomma ad essere una delle colonne portanti di un Welfare che, in uno Stato moderno dovrebbe sostenerle, e che invece si trovano a dover reggere loro stesse”.
“Quindi, se dobbiamo fare una riflessione a 50 anni dall’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori – conclude Perretti -, va evidenziato che intorno a quell’art.15 e alla discriminazione di genere c’è ancora molto da lavorare, sul fronte della politica, delle istituzioni, dei c.d. corpi intermedi, della pubblica informazione e dell’Istruzione. Si perché un percorso educativo che porti ad una cultura della parità di genere, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione e di stereotipi, all’utilizzo di un linguaggio corretto nel rispetto del genere, non può che iniziare dalla scuola dell’obbligo, dove si formano i futuri protagonisti nella nostra società”.