La Uil Fpl in una nota sottolinea una storia di successo sul tema dell'emigrazione giovanile.
"Il fenomeno dell’emigrazione, così come il Rapporto Migrantes 2017 riferisce in crescita dalla Basilicata, insieme a tante storie di giovani in cerca di fortuna che vivono condizioni di precarietà o comunque di lavoro non appagante riserva anche storie di successo.
Come quella del dott. Antonio Bonacaro, che l’11 ottobre scorso presso la Anglia Ruskin Univesity , ha ottenuto il Postgraduate Certificate Learning and Teaching in Higher Education. Infermiere “mady in Italy” dopo aver concluso in Italia il dottorato di ricerca in scienze infermieristiche nel 2010, tra i primi in assoluto in tutto il Paese, ha iniziato a ricercare opportunità per impiegare le esperienze maturate in ambito universitario o nell’ambito del servizio sanitario nazionale, per il quale ha continuato a lavorare, presso il 118 dell’ASP di Potenza, a conclusione del percorso di studi.
Nonostante l’entusiasmo, la forte motivazione e le condizioni decisamente favorevoli (a quell’epoca vi erano solo cinque dottori di ricerca in scienze infermieristiche in tutta Italia) nessuna opportunità gli si è presentata.
La sua esperienza è iniziata grazie al programma Erasmus che gli ha permesso di collaborare in qualità di docente in visita con diverse istituzioni accademiche spagnole. Bonacaro ha persistito nell'intento durante il corso del suo dottorato di ricerca ,quando ha avuto modo di spendere un semestre presso la John Moores University a Liverpool nel Regno Unito. Un’altra esperienza che lo ha decisamente proiettato verso una carriera internazionale è stata quella fatta grazie all’Australian Travel Award for L’Aquila Researchers. Si è trattato di una borsa di studio offerta dal Group of Eight (il gruppo delle otto università più prestigiose dell’Australia) per consentire ai dottori e dottorandi di ricerca dell’università dell’Aquila (presso cui ha svolto il dottorato) di proseguire i loro progetti di ricerca malgrado la chiusura dell’ateneo legata alla drammatica scossa di terremoto del 2009. La borsa gli ha permesso di collaborare in veste di “visiting trainee” con la University of Queensland e quindi di proseguire gli studi nell’ambito della simulazione clinica. Antonio ha sempre espresso il desiderio di offrire un servizio qualificato al proprio Paese ma, con rammarico, l’Italia è sorda e cieca e, per l’ennesima volta, ha permesso ad un altro cervello di fuggire via. A livello universitario, il nostro Paese, resta chiuso in meccanismi che andrebbero svecchiati e che non permettono a giovani e promettenti ricercatori di mettere a frutto, in maniera naturale, le competenze acquisite.
Nelle università italiane non c’è spazio per i giovani ricercatori che molto spesso, se non emigrano, intrattengono con le Università rapporti di collaborazione su base temporanea mentre, da quello che ho potuto notare e da quello che lo stesso Antonio mi racconta, in particolare nei pasi anglosassoni, la professione infermieristica gode di un ampio riconoscimento sociale frutto di accadimenti storici favorevoli, del contributo di infermieri divenuti personalità illustri e dell’incessante tentativo da parte della professione di fornire risposte adeguate alle mutate esigenze della comunità.
Lo stesso Antonio non rinuncia all’idea, a condizioni lavorative serie, di rientrare in Italia dove potrebbe dare un contributo notevole al mondo accademico.
Nel nostro Paese purtroppo l’infermiere è spesso visto ancora come subalterno, in un sistema medico-centrico, mentre aumentano i carichi di lavoro e di responsabilità a fronte di una maggiore professionalità espressa (grazie ad un più articolato e complesso sistema formativo a livello universitario) e contraddittoriamente di una remunerazione ferma al palo da lungo tempo.
Le parole del dottor Bonacaro sono più che significative: “Bisognerebbe definire e assicurare capillarmente percorsi certi di progressione di carriera in ambito clinico, manageriale ed universitario con reali possibilità di impiego sul campo della professionalità maturata mediante una programmazione oculata. Acquisire un reale controllo dei corsi di formazione con la possibilità per gli infermieri opportunamente formati di insegnare qualsiasi disciplina parte del piano di studi, un reale controllo dei processi assistenziali e della gestione delle risorse finalizzata al miglioramento costante della qualità delle cure rimettendo al centro delle politiche sanitarie i reali bisogni del cittadino”.
Accade invece che senza concorsi e assunzioni dal 2008, l'assenza di prospettive e di contratti a tempo indeterminato spingono molti professionisti della salute a guardare oltre e a cogliere le opportunità che l’estero offre, dove i nostri connazionali sono oltre 2.500. Tanti di loro vorrebbero tornare, ma ad una condizione: "Vogliamo essere valorizzati ". E’ il dato che emerge da uno studio che mette in valore l’esperienza di molti Infermieri connazionali che non hanno trovato il giusto spazio in Italia! Il fenomeno ormai coinvolge molti Infermieri italiani e stando alle stime dell’Ipasvi, la Federazione Nazionale Collegi Infermieri, si è registrato un incremento del 70% negli ultimi tre anni in termini di migrazione. Fino al 2013, infatti, chi decideva di trasferirsi oltremanica o addirittura oltreoceano lo faceva più per scelta che per necessità.
Per queste ragioni la storia di Antonio è piena di significati e carica tanti giovani lucani all’estero con la spinta a cogliere quelle opportunità di successo che da noi sono negate".