Sanità Futura su liste di attesa

Per Michele Cataldi di Sanità Futura il dibattito sulle liste di attesa rischia di non centrare la causa geneticamente responsabile della sanità lucana, di cui le liste di attesa sono il risultato più evidente.
“Per noi l’obiettivo primario – sottolinea Cataldi in una nota – dovrebbe essere quello di rendere le strutture sanitarie erogatrici di prestazioni e servizi (tutte, pubbliche e private) attrattive per un’utenza più ampia di carattere extraregionale. Non si può pensare che sia sufficiente curare la febbre ad un paziente senza curarne anche l’infezione che la genera, al pari non sarebbe sufficiente estendere l’orario di attività di poliambulatori e strutture pubbliche e private se non per raggiungere un primo, parziale e temporaneo traguardo. Ho letto dati, in questi giorni, già largamente conosciuti sul nostro saldo passivo di mobilità interregionale e dati altrettanto conosciuti che riguardano i saldi attivi di alcune regioni “virtuose” italiane. Saldi di miliardi questi ultimi, che giustificano il mantenimento di strutture che altrimenti in quelle regioni avrebbero dovuto chiudere se fondato solo sul volume delle rispettive popolazioni. Abbiamo un’idea di quanti posti di lavoro invece riescono a mantenere grazie al saldo attivo di mobilità sanitaria?
Il mix tra tecnologia, competenze e organizzazione incontrerebbe i veri bisogni delle persone e risulterebbe perciò attrattivo perché capace di dare risposte veloci ed efficienti. Allora si che la prevenzione avrebbe un valore perché messa in pratica eviterebbe attese  inutili e costose degenze ospedaliere.
Mentre ribadiamo la nostra disponibilità alle prestazioni sanitarie by night, o nei giorni festivi, pensiamo che ormai sia matura la necessità di un tavolo unico con tutti i soggetti sociali in campo – sindacati, Asp e Asm, Regione, associazioni della sanità privata accreditata, organizzazioni di tutela degli – per un confronto, scevro da preconcetti che non hanno alcun senso e per individuare un cronoprogramma di azioni da mettere in atto velocemente. Le azioni devono riguardare tutte le risorse umane e professionali, le strutture e le capacità di cui il sistema sanitario regionale nel suo complesso dispone, nella consapevolezza che non esistono “frontiere regionali” e che l’utenza da attrarre vive a soli pochi chilometri dalle nostre strutture senza barriere da superare se non quelle che noi costruiamo”.

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