Tra le tante intuizioni quella sulla Fiat a Melfi: l’operazione economica si sarebbe trasformata in fatto culturale con la modifica della geografia industriale del territorio e dei tessuti sociali e culturali apportandovi mutamenti ed innovazioni
“ 'Civis Melphitanus sum' : così Monsignor Vincenzo Cozzi ci salutò quella sera del 30 gennaio 2003 dopo avergli conferito, in qualità di Sindaco di Melfi, la cittadinanza onoraria. Oggi, do il bentornato a casa ad un concittadino che per i suoi esempi di vita ed insegnamenti non abbiamo mai dimenticato, che è sempre stato spiritualmente presente fra noi. Non aveva, di certo, bisogno della cittadinanza onoraria per sentirsi melfitano o per essere accolto come tale, ma noi abbiamo ugualmente voluto concederla come segno tangibile della nostra stima e riconoscenza”. E’ il ricordo del consigliere regionale del Gruppo misto, Alfonso Ernesto Navazio, di Mons.Vincenzo Cozzi.<br /><br />“Trentadue anni fa – sono le rimembranze del consigliere – Mons. Cozzi prese possesso della nostra Diocesi guidandola ininterrottamente per ventuno anni. Quattro lustri, sono una generazione, una parte rilevante della vita terrena che, in un’epoca come quella attuale, dove tutto è veloce e caduco, rappresentano un lasso di tempo enorme che non può non lasciare il segno e nello spirito, e nel vivere quotidiano. Si presentò a noi con queste parole “ (…) e non vengo, certo, poggiandomi su motivi di sapienza e potenza umana, sarei pazzo e presuntuoso; ho la coscienza di portare con me i miei limiti; non sono un filosofo o letterato o uno scienziato né un santo. Sono un uomo come voi; nato e vissuto in questa terra di Lucania, chiamato da Gesù Cristo a vivere la Divina avventura del sacerdozio; ho lavorato da prete per trent’anni prima a Policastro poi a Lagonegro, cercando di scrivere con la vita il Vangelo della salvezza, condividendo gioie e dolori, fatiche e speranza di quelle indimenticabili popolazioni (…)”. Parole che sono diventate vita e testimonianza concreta di quanto ha fatto nel suo ventennale ministero episcopale”.<br /><br />“Eravamo – ricorda ancora Navazio – ad un anno dal sisma e non avevamo bisogno di filosofi o scienziati, ma di un pastore; un pastore umile ma concreto che sapesse stare vicino alla gente, che viveva ancora i disagi del post-terremoto; un pastore poco incline al fasto della gloria terrena, ma grande nei risultati e nelle intuizioni. E tutto questo Mons. Cozzi è stato. I nostri passi sono stati i suoi, i nostri pensieri anche, le nostre angosce sono state le sue angosce, le nostre gioie sono state le sue gioie perché ha saputo radicarsi nella storia delle donne e degli uomini del luogo, portando l’annuncio della verità, della bontà, dell’amore e del servizio. Attraverso le sue numerose lettere pastorali – esplicita Navazio – ha offerto momenti significativi di riflessione ed approfondimento delle diverse tematiche, costruendo e rinsaldando, in ogni strato della cittadinanza, lo spirito di fratellanza, comunione, solidarietà e di messa a disposizione dell’uomo a servizio degli altri, in qualsivoglia vicenda umana, attuando così, con esemplare coerenza, il motto impresso nel Suo stemma “Superimpendar pro vobis” (mi sopraspenderò per voi). Ne vorrei ricordare, per la grande intuizione che si ritrova, quella del marzo ‘92 intitolata “La Fiat a Melfi” in cui Mons. Cozzi, con la sua capacità di cogliere le esigenze e i timori della gente percepì il nuovo ben prima che arrivasse. Si rese conto che ‘l’operazione puramente economica’ si sarebbe trasformata in ‘fatto culturale’ perché, oltre a modificare la ‘geografia industriale’ del territorio, si sarebbe innestata nei nostri tessuti sociali, nelle nostre culture apportandovi inevitabilmente mutamenti ed innovazioni. Sarebbe cambiato il modo di vita della città. I ritmi non sarebbero più stati quelli dell’agricoltura dettati dal sole e dalle stagioni ma quelli dell’industria scanditi dalle sirene della fabbrica. Invitava la Chiesa ad adeguarsi”.<br /><br />“Per sacralizzare il lavoro diventava indispensabile impostare un discorso di evangelizzazione che toccasse direttamente quel mondo complesso. E nella stessa lettera – riferisce Navazio – a dimostrazione del suo stare con i ‘i poveri’, richiamava l’attenzione sui disoccupati, i nuovi poveri; la comunità cristiana non poteva disinteressarsi di loro. Negare il lavoro è come negare il diritto alla vita. La disoccupazione genera amarezza, scoraggiamento, violenza. Uomo lungimirante Mons. Cozzi non poteva rimanere ancorato agli schemi del passato, doveva ricercare un altro modello adeguato ai tempi poiché la ‘Chiesa’ doveva camminare con l’uomo”.<br /><br />“Adoperandosi con tutte le sue forze per ricostruire e rendere nuovamente fruibile il patrimonio della chiesa, danneggiato dal sisma, ci ha insegnato la tenacia nel perseguire gli obiettivi. È grazie al suo impegno che l’episcopio è tornato ad essere vivibile in tutta la sua grandezza ed è stata realizzata la pinacoteca. Ci ha insegnato che far crescere la società significa che la città deve avere le dimensioni dell’uomo : non possiamo avere una città dove vive l’uomo, ma non ha la dimensione di esso. Per tutto quello che ci ha testimoniato ed insegnato – conclude il consigliere – rinnovo il bentornato a casa 'Civis Melphitanus Cozzi' ”.<br />