L’accorata e viva testimonianza del consigliere Viti in merito all’impegno sociale e civile di Domenico Delicio
“Avrei voluto partecipare con una mia testimonianza dal vivo al ricordo di Domenico Delicio.
Se non che, un concomitante impegno politico mi costringe a Roma oggi. Ciò non mi impedisce di raccogliere qualche rapido spunto che spero valga a contribuire ad una oggettiva ricostruzione del valore del grande impegno speso da Delicio, sin dal primo dopoguerra, al servizio di una società lacerata, impoverita, fiaccata nelle energie materiali e tuttavia percorsa da fremiti di rinnovamento e da speranze e progetti di risalita dalle rovine del fascismo. Prima Michele Cascino – ricorda Viti – poi Pierfranco Bruni, quindi Pio Rasulo tratteggiano efficacemente la personalità di Delicio ed io mi ritrovo perfettamente nella loro limpida narrazione. Uomo libero, animato da una forte, marcata consapevolezza del suo percorso di autodidatta, segnato da un orgoglio umanissimo eppure intellettualmente curioso e aperto, refrattario alle grigie connivenze con le burocrazie di partito, in Delicio si intravedono i germi di quella compulsione politica e morale che lo portarono a rompere il filo di una esperienza vissuta intensamente nel Pci e a tessere la trama di una nuova militanza, nel fuoco di polemiche e di battaglie, tutte animate da un saldo convincimento ideale e da un’incrollabile fede nella libertà”.
“Uomo di trincea – dice Viti – e delle istituzioni, Delicio ha saputo declinare passione e modernità, riflessione, studio e iniziativa popolare nel cuore delle contraddizioni e delle crisi economiche e sociali della Basilicata, che hanno avuto il loro epicentro nel metapontino. Non è quindi un caso che egli abbia incrociato le personalità che hanno scandito le stagioni più intense della trasformazione civile e sociale del Mezzogiorno e della regione, intrattenendo con esse un colloquio animato ma rispettoso, carico di ragione e di passione com’era nella sua natura generosa e intrepida. Un solo riferimento desidero fare, infine, alla qualità della riflessione meridionalista di Delicio: ciò che costituisce un cruccio e una scommessa mancata nell’azione storica delle classi dirigenti meridionali e non solo. In un intervento svolto a Reggio Emilia il 21 maggio del 1988 – riferisce Viti – entrando nel vivo del dibattito sul Mezzogiorno, Delicio si poneva e poneva una ‘domanda capitale’: ‘E’ possibile che in una economia dualistica, il sindacato, che risente nel suo interno del maggior peso politico-organizzativo dei lavoratori dell’area forte pienamente inseriti nel sistema produttivo, possa adempiere a un effettivo e concreto ruolo meridionalista? Attraverso quali vie, quali alleanze politiche e sociali?’. Una domanda, appunto capitale, che riprendeva la grande riflessione gramsciana e che svelava lo scacco, il ripiegamento cui avremmo assistito, di un Paese chinato su se stesso, diviso da una linea Maginot, segnata da una parte dall’egoismo sociale e dall’altra dalla diserzione etico-politica di parte delle classi dirigenti del Sud. In qualche modo, una domanda tristemente profetica. Se può essere di qualche consolazione, anche uomini come Delicio, lasciando tracce che la memoria ha il dovere di preservare, possono aiutarci a credere che un futuro a misura di una diversa, più alta civiltà dell’Italia, è ancora possibile”.