I confini sono inganni della mente, trappole e gabbie per i pensieri. Non li conosce il vento, il fiume, l’insetto. Ci appartiene quello che il nostro sguardo accoglie e salva. Questa è l’evidenza di Monteserico: un orizzonte circolare e sterminato di terra, un deserto dei Tartari che segna le sue fughe negli occhi di chi guarda. Sui crinali delle colline le case abbandonate della riforma agraria degli anni Cinquanta sono gusci vuoti di tartarughe. Quelle case hanno storie da sussurrare a un viaggiatore. Terra e vento ne racconta una possibile, quella di Vito, bracciante prima, minatore in Belgio poi, che torna a casa a distanza di anni per piantare un albero e liberare un canarino delle miniere. Ha conservato in una tasca dei calzoni quattro o cinque fave, nell’altra ha semi nuovi. Ha paura, perché chi torna non è più l’uomo che è partito. Essere stati altrove non distrugge legami ma agisce nel profondo. La conseguenza è che ci si sente doppi, forestieri sia nel luogo da cui si torna sia nel luogo da cui si è andati via. Eppure da questa condizione di uomini con due teste e due cervelli può nascere una nuova antropologia. Simile a un giro improvviso di vento, l’uomo che torna porta i pollini, le nuvole e le speranze. In un Sud che non smette di sanguinare per inarrestabile emorragia di persone e idee, che continua a subire stupri in nome di un progresso che non arriva, il viaggio controcorrente di Vito si carica di spessore etico. Questo il glutine di Terra e vento".
Lo ha detto Antonio De Rosa, autore del testo e regista dello spettacolo Terra e vento, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell'evento".
bas 08