Simonetti (Cseres): a trentacinque anni dal sisma

"A trentacinque anni dal sisma del 1980, il Consorzio Industriale della provincia di Potenza ha 40 milioni di euro circa di debiti, due binari ferroviari morti a Tito e Baragiano Scalo, le cui storie progettuali ed esecutive varrebbe la pena attenzionare. Il primo doveva essere utilizzato al servizio del revocato Interporto di collina nella zona industriale di Tito e, il secondo della omonima zona industriale di Baragiano, per le cui realizzazioni sono stati spesi oltre 5 milioni di euro": Lo afferma, in una nota, Pietro Simonetti (Cseres).
"Sempre per Il primo quello di Tito Scalo è stato realizzato per servire il nulla e quindi non poteva neanche essere collaudato perché non fruibile, il secondo quello di Baragiano Scalo, che originariamente progettato come viadotto ferroviario sul fiume Marmo – Platano di collegamento tra la stazione di Baragiano Scalo e l'area industriale di Baragiano, viene completamente stravolto dopo aver espletato l'appalto, in per l'appunto Raccordo ferroviario e, tanto per aggiungere al danno la beffa non è stato neanche completato perché  le ferrovie non hanno autorizzato il Consorzio a collegarsi alla rete ferroviaria nazionale per insufficiente traffico ferroviario garantito. Non ci chiediamo neanche chi li abbia progettati ed approvati come Responsabili Unici dei Procedimenti e se, l'esito funebre, potrebbe interessare agli Enti preposti al controllo dello sperpero di denaro pubblico, ma di certo sono due chicche, due situazioni decisamente penose e intollerabili. Questo è il racconto dell'oggi, il passato è stato rappresentato più e più volte e riguarda per l'area del potentino che per effetto dell'investimento di oltre 450 milioni euro, al netto degli interventi infrastrutturali di oltre un miliardo di euro, sarebbero dovuti essere garantiti oltre 6000 posti di lavoro ma ne rimangono 1600 circa. Altri 900 lavoratori affollano le liste della mobilità e disoccupazione. L'emblema della industria del terremoto, l'azienda cinese Sinoro, prima centro orafo, poi Cripo, Orop, ora Sinorop, quattro processi per truffa, due bancarotte, 12 milioni di finanziamenti vari, 130 lavoratori messi sul lastrico. Ricordiamo anche la ex Memofil ed altri, fa bella mostra serenamente inutilizzata a TIto Scalo mentre i macchinari fatturati circa 5 milioni sono in vendita per 500 mila euro, prenotati dall'azienda che li ha prodotti che ha offerto 600mila euro mentre la nuova creatura-scatola cinese ha proposto in extremis 650 mila. Il tutto è accaduto e accade nel totale non vedere, non sentire, non sapere, del Dipartimento Attività Produttive e Sviluppo della Regione Basilicata, che ignora sistematicamente questo ed altro. Per altro si intendono i sessanta capannoni. vuoti, non legalmente in uso, gestioni fallimentari ultra ventennali molto apprezzate dai ladri di rame e impiantistica varia che imperversano nelle strutture o i consulenti che come nel caso della Standartela hanno portato le apparecchiature in Asia o in Europa come peraltro, quelli della Etm, Ets, Abl ed Edisud. I forni della ex Parmalat di Atella sono accesi in Val Padana.
Per tornare ad oggi, qualche settimana fa il parroco di Tito Scalo ha celebrato una messa nella sede del consorzio industriale, un rituale appuntamento per amministratori e dipendenti, l'occasione per invocare evidentemente l'intervento divino sulle sorti dell'ente, dicono i partecipanti in attività lavorativa. Tanto per restare in argomento negli gli ultimi tre anni il consorzio ha bruciato 15 milioni di euro per perdite
di esercizio. Entro il 2015 centrerà i 20 milioni. Il costo della produzione ha decapitato il capitale netto e gli ammortamenti prevalgono alla grande su gli incassi per servizi ed altro. Infatti comprando l'acqua a 0,37 e rivendendola a 0,27 si autoproduce perdita. Se si aggiunge che i canoni non vengono riscossi – se non parzialmente e tante volte per simpatia o antipatia o altro – restando di fatto dormienti il gioco è fatto. Sono stati maturati 10 milioni di debiti circa nei confronti di Enel, nel mentre si concedevano a prezzi stracciati, per  impianti solari, terreni infrastrutturati di 10 ettari. L'indebitamento ad oggi, assapora la bancarotta, i revisori raccomandano, segnalano, sollecitano e approvano i bilanci. A ciò va aggiunta la famosa gara per la gestione dei rifiuti e delle aree industriali della provincia di Potenza. Già, la Famosa e investigata gara per esternalizzare lavori, servizi, allocazione di rifiuti. E' ferma per la pseudo e fantasiosa proroga continua da anni. Mentre maturano i crediti inevasi degli appaltatori. Viste le risultanze industriali negative, si suggerisce, di dare vita ad una sola Asi regionale, con missione diversa dai tempi della cassa. Si dovrebbe fare cosi. Per evitare che Il nuovo Amministratore Unico e la nuova classe dirigente – nominati in seno al Consorzio di Potenza da circa un anno – se pur dotati di un bagaglio multiplo amministrativo e tecnico, non brancolino nel buio tra quel che resta del passato e cioè, la complessità "di una gestione che ha esondato nel clientelare per assurgere alla patologia del debito ed alla inerzia della politica industriale ed un presente purtroppo assente". Pertanto, invece di affrontare a mani nude e casse vuote il tema di un molto improbabile risanamento, forse un solo consorzio con relativo piano industriale e di rilancio riuscirebbe ad andare oltre gli attuali 36 mila occupati, dei quali 20 mila nelle aree Asi del potentino, nell'industria della Regione e dare spazio e futuro ai dipendenti dei consorzi e alle imprese a 35 anni dal sisma".

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