Dopo l'annuncio di quello che è accaduto nel Mediterraneo il 3 ottobre di un anno fa è stato chiaro anche per i più distratti che, dinanzi a quell'esodo, non è possibile voltare la faccia dall'altra parte. Che tutta quella tragedia ci è vicina. E ci riguarda. E, in fondo, il fatto di averla voluta ricordare in ogni angolo del Paese, anche a Potenza, conferma questa consapevolezza.
A partire da quel 3 ottobre 2013 l’Italia si è assunta l'impegno di cercare di evitare il ripetersi di simili tragedie. Ha messo in campo, infatti, l’operazione “Mare Nostrum”. In una recente audizione in Commissione Diritti umani al Senato il capo di stato maggiore della Marina Militare Giuseppe De Giorgi ha tracciato un bilancio dell’operazione. È stato così possibile apprendere che nei primi dieci mesi dell’operazione sono stati 141.891 i naufraghi assistiti, 298 gli scafisti arrestati e 384 le operazioni di soccorso complessivamente messe in atto.
Ma naturalmente tutti gli sforzi, per quanto generosi, sono ancora insufficienti. Soprattutto c'è bisogno di un impegno plurale. Non solo dell'Italia, ma dell'Europa intera. Dall’inizio di quest'anno, infatti, altre tragedia si sono ripetute: «oltre 2500 persone partite dall’Africa del Nord sono annegate o risultano disperse nel Mediterraneo». «L’Europa non può ignorare la tragedia che si sta compiendo alle sue porte – ha affermato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International, il quale auspica, da parte dell'Unione europea e i suoi Stati membri, azioni urgenti e concrete: «un numero maggiore di navi per la ricerca e il soccorso nel Mediterraneo centrale, col chiaro compito di salvare vite umane in acque internazionali e risorse adeguate per svolgerlo al meglio».
Nella stessa audizione parlamentare De Giorgi ha infatti evidenziato che «gli oppositori a Mare nostrum sostengono che questa operazione abbia aumentato i flussi di immigrazione, in realtà gli arrivi sono esplosi prima che fosse messa in campo. Non è quindi Mare nostrum che provoca questo incremento ma si tratta di fattori di forza globale, che provocano questa massa di popoli in movimento, una piccola parte dei quali arrivano sulle nostre coste: parliamo di zone dove ci sono genocidi o dove ai ragazzi viene chiesto di fare il servizio militare a vita. Rispetto al 2013, la situazione in Africa orientale è peggiorata, c’è stato lo scoppio della guerra in Siria. E sono questi i fattori a cui bisogna guardare per spiegare i flussi». Un ragionamento basato sui dati di fatto, sul buon senso e sulla necessità storica. Per comprenderlo basta che ci siano menti e cuori disponibili all'ascolto. E occhi disposti a vedere.
(ValeSa)