"Non sappiamo come è morto, sappiamo solo che si chiamava Immah, che aveva 25 anni, che veniva dal Ghana e che l'hanno trovato appeso ad una corda. Impiccato. Viveva chissà da quando – dice don Marcello Cozzi (Cestri) in una nota – in quel pezzo d’inferno che in lucano si dice Boreano. Aveva ancora una vita davanti a sè: per raccontarci con orgoglio della sua Madre Terra, l'Africa, della sua famiglia lasciata chissà in quale villaggio remoto del Ghana, e dei salti mortali che ha dovuto fare per arrivare in Europa, poi in Italia e infine in Basilicata. Ed invece è finito tutto lì, nella tragedia di un cappio.
Ci uniamo al dolore dignitoso della sua famiglia – aggiunge don Cozzi – che forse non conosceremo mai, alla rabbia senza parole di quel mondo di volontari che da anni a Boreano con passione e coraggio sta sostituendo uno Stato che a livello nazionale e nelle sue rappresentanze regionali è sempre più parolaio e inconcludente.
Non ci associamo invece alle parole di circostanza che sicuramente (speriamo almeno in questo) verranno espresse da pezzi di Istituzioni e di politica, che gestendo l'ordinarietà come emergenza, continueranno a definire accoglienza quelli che invece sono gironi infernali.
Non sappiamo come è morto Immah, sappiamo solo che il suo Dio sicuramente lo ha accolto fra le sue braccia, che in Italia nessuno se ne è accorto perchè la Basilicata non esiste – afferma ancora – neanche quando si muore in questo modo, e che su quella corda ci sono le impronte degli speculatori del pomodoro, di uno spietato caporalato e di quella politica occidentale per la quale questo ragazzo non è mai esistito perché semplicemente un numero in una quota da ripartire".
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