Premio Letterario Basilicata, nota dell'assessore alla Cultura Roberto Falotico:
Domenica 22 ottobre, dalle 18:00, nella cornice dell’Auditorium del Conservatorio di musica “Gesualdo Da Venosa” di Potenza, “Cultura, creatività, futuro”, i tre pilastri su cui è nato il Premio Basilicata, si confermano elementi centrali e rilanciano la sfida ad un nuovo modello economico e sociale di sviluppo del territorio.
L’Italia, partita da un Dopoguerra disastroso, è diventata una delle principali potenze economiche. Per spiegare questo miracolo, nessuno può citare la superiorità della scienza e dell’ingegneria italiana, né la qualità del management industriale, né tantomeno l’efficacia della gestione amministrativa e politica, né infine la disciplina e la collaboratività dei sindacati e delle organizzazioni industriali. La ragione vera è che l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura e che le città e i territori, pur avendo infrastrutture carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza. Molto più che l’indice economico del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società. Così, John Kenneth Galbraith, fra i più celebri e influenti economisti del suo tempo, nonché critico della teoria capitalista tradizionale, analizzava il contesto economico del “Bel Paese” e lanciava una sfida che oggi, finalmente, tutto il sistema economico, produttivo, culturale e amministrativo sta cogliendo con la giusta forza e all’interno della quale si cala a pieno titolo nel nuovo corso del Premio Letterario Basilicata. Un evento che è diventato storia, grazie a uomini e donne che hanno operato per il raggiungimento di questo obiettivo, ai quali la nostra comunità regionale avrebbe il dovere di dire grazie.
Il Premio nacque dalla esigenza di stabilire collegamenti con la vita intellettuale nazionale per reagire positivamente alle condizioni di isolamento in cui si trovava la nostra regione; esigenza tanto più avvertita in un momento in cui, con l’istituzione della Regione a statuto ordinario, la comunità lucana veniva sollecitata ad essere protagonista del suo riscatto dalla condizione di marginalità socio-economica e culturale, in cui la storia e la politica, più che la geografia, l’avevano condannata per secoli.
Che la cultura sia una leva strategica per lo sviluppo dei territori è ormai dato certo: si parla di economia della cultura, di imprese creative, di classe creativa come motore di crescita delle ormai note smartcities, e sono tanti i rapporti e le ricerche che lo dimostrano con dati concreti. L’accesso alla cultura è valore e il valore è ricchezza. Ogni anno, tra gli altri, il rapporto della Fondazione Symbola sull’industria culturale e creativa ci conferma che puntare sulla bellezza, sulla forza, sulla visione strategica di progetti a carattere culturale rappresenta il vero obiettivo che dobbiamo porci, se vogliamo davvero generare energia economica e sociale.
L’industria 4.0 nulla può se non è perfettamente collegata ad un concetto di cultura 4.0 in cui la leva culturale produca sviluppo del capitale economico di un territorio, del capitale umano dei suoi abitanti, riqualificazione e rigenerazione urbana dei suoi luoghi, vitalità del suo patrimonio identitario tangibile e intangibile. Dagli eventi culturali e di spettacolo ed all’impatto che sono in grado di generare, alla azione costante di coinvolgimento, formazione e informazione delle comunità, ad ogni azione deve corrispondere una reazione uguale e più forte, in grado di valorizzarne i tratti e collettivizzarne i risultati. Questa è la prima legge della dinamica culturale (che si ispira ai concetti della terza legge sulla dinamica) e che deve spiegare e ispirare la geografia di energie e forze che dai territori hanno il diritto e il dovere di “fare”. Sì, perché come ribadito più volte negli ultimi dieci anni, e come è stato dimostrato nella grande esperienza di candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura 2019, la differenza tra il dire e il fare è proprio il fare, meglio ancora il “fare insieme”. La comunità, la condivisione di intenti, obiettivi, strategie, visioni ci consente di generare non città intelligenti ma comunità intelligenti in grado di lavorare all’unisono, come gli stormi di uccelli, come le colonie di insetti, come le cellule del corpo.
Il Premio Letterario Basilicata, per il nostro territorio, rappresenta proprio questa sfida, un’avventura culturale che dura da quarantadue anni: una bella età, ormai nella piena maturità, di cui mostra tutti i segni della fresca vitalità e della virtù attiva; una vitalità che si alimenta all’idea fecondatrice che è all’origine del suo progetto culturale: valorizzare le voci più profonde che esprimono le istanze e i valori autentici del nostro tempo con scelte letterarie al di là della geografia territoriale e al di sopra di ogni pregiudizio di appartenenza a “parrocchie” letterarie, nella fedeltà alle ragioni della letteratura, nel rispetto assoluto dei valori della cultura, della sua indipendenza, della sua libertà: questa sì, da difendere a tutti i costi.
Da questo punto di vista, il “Basilicata” si connota per una precisa e dichiarata collocazione culturale. Su questo punto è bene essere chiari: ogni attività culturale ha alla base una filosofia, un preciso orientamento che oggi trova ancor più forza se inserito nel contesto creativo che sta generando progetti di sviluppo quali “Via delle Meraviglie – Identità e reti di integrazione della Basilicata Interna ”, un’idea di progettazione culturale che nasce dal basso, dai territori, e si pone l’ambizioso obiettivo di ridisegnare un nuovo concetto di racconto esperienziale del territorio, anche e soprattutto attraverso la valorizzazione economica che fa leva sul patrimonio dei beni culturali e su tutto ciò che si può costruire intorno. Si, perché “con la cultura si mangia” e si costruisce una idea precisa di sviluppo, si reagisce ad un contesto ancora troppo ancorato alle logiche del potere fine a se stesso e si decentralizza il concetto di responsabilità sociale e civile. Una società dematerializzata come quella liquida in cui viviamo ha bisogno di radici ma anche e soprattutto di connessioni, per mettere insieme comunità e idee di comunità. I nostri giovani, i nativi digitali, vivono la bellezza di un tempo in cui la conoscenza e la creatività possono e devono essere interpretati come i veri canoni di bellezza.
Winston Churchill, a chi, durante la seconda guerra mondiale, proponeva di tagliare i fondi destinati alla cultura per sostenere lo sforzo bellico, rispose: “Ma allora per cosa combattiamo?”. La crisi che sta imponendo all’Italia enormi sacrifici ci pone anche davanti alla sfida del cambiamento: non ci lasceremo alle spalle questi anni di difficoltà e paura, né supereremo i mali antichi del Paese, se non sapremo cambiare. Senza però dimenticare chi siamo, senza perdere di vista il “per cosa combattiamo”. Per ritrovare il nostro spazio, per generare le migliori condizioni per i nostri ragazzi, per annullare la tremenda piaga dello spopolamento dei nostri borghi, dobbiamo puntare sulla bellezza del confronto, sul rilancio
dei territori e sul saper fare delle comunità. Investire sulla cultura – quella di qualità, che spesso purtroppo non viene sostenuta adeguatamente – e potenziarla per sostenere la tensione innovativa delle idee da mettere in campo, è la migliore garanzia per continuare a competere e crescere.
Bisogna tornare a credere nella cultura, la lente attraverso la quale ci guarda il mondo, il motivo principale per cui i turisti extraeuropei ci eleggono loro meta preferita nell’Eurozona; la ragione profonda per la quale, dalla Cina al Brasile dall’Australia alla Russia, si sogna e si acquista il Made in Italy. È proprio grazie a questa impostazione che le imprese italiane sono riuscite a generare valore aggiunto ai prodotti. La cultura è ciò che alimenta il nostro saper “produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo”, per dirla con lo storico dell’economia Carlo Cipolla. E’ un potente fattore d’innovazione (economica e sociale), è il nostro vantaggio competitivo. E’ ciò che, nell’era dell’Ict, dell’hi tech e dei Fablab, può spalancarci nuove porte: gli oggetti dall’anima super tecnologica hanno sempre più bisogno di un corpo accattivante, funzionale, emozionante, unico. Hanno bisogno della nostra cultura, che ci rende capaci di incorporare bellezza, valori, futuro. Noi stessi abbiamo sempre più bisogno di cultura, anche per creare un argine, una diga a quanti – forse anche inconsapevolmente – spesso fanno di tutto per mettere in mano alle giovani generazioni una valigia con biglietto di sola andata.
bas04