Città Plurale, associazione che ha composto il coordinamento regionale per il referendum acqua pubblica, interviene sulla tutela dell’acqua intesa come bene comune e non commericabile. “Un punto a favore di questa classe politica regionale è stato il cosiddetto addendum. In esso è stato ribadito che l’acqua non si vende e che royalties sull’acqua non ce ne sono. Detto anche dalla Regione Basilicata assume un significato molto positivo. Facile dichiararlo per quelle Regioni bisognevoli di risorse idriche più difficile lo è per quelle che avendone in esubero le cedono. Un accordo sottoscritto dalle regioni meridionali più il Lazio, le Regioni facenti capo al distretto idrografico dell’Appennino meridionale, ha permesso di concertarsi per garantire solo la copertura dei costi di esercizio utili per la raccolta dell’ acqua e l’erogazione della stessa. La Regione Basilicata ha avuto un ruolo particolare perché essa risulta essere la più importante erogatrice della risorsa in una misura pari al 35% e ne riceve solo il 2%. il Molise ed il Lazio erogano al sistema compensativo ma quote percentuali significativamente più ridotte a favore della Puglia ed in misura bilanciata tra il dare e l’avere è posta la Campania. Nel documento d’intenti sottoscritto a suo tempo dalle Regioni indicate – aggiunge Città plurale – viene ribadito il principio previsto anche dalla Direttiva Comunitaria 2000/60 che l’acqua è un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale e non è un prodotto commerciale come gli altri. Noi ribadiamo che l’acqua non è neppure un valore commerciale e deve essere un bene comune privo di rilevanza economica e sollecitiamo il Consiglio Regionale a recepire questo concetto così come è all’atto della approvazione del nuovo statuto regionale che in questi giorni si sta modellando anche con la partecipazione dei cittadini”.
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