Il Garante dell’Infanzia: “Recuperare il ruolo di guida per i nostri ragazzi e porre più attenzione sulla famiglia che resta la prima comunità educante in cui il bambino impara le regole della convivenza e del rispetto per il prossimo”
“Secondo l’Istat, e ripreso nel 9° Rapporto del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il 5,9 per cento degli adolescenti ha denunciato di aver subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, email, chat o social network. Vittime preferenziali sono le ragazze: con il 7,1 per cento, contro il 4,6 dei ragazzi. Due adolescenti su tre ( 69 per cento) ritengono che il bullismo è percepito tra i maggiori pericoli, e che il cyberbullismo sia al primo posto”.<br /><br />E’ quanto ha dichiarato il Garante regionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Basilicata, Vincenzo Giuliano, in occasione della “Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo”.<br /><br />“La scuola – ha continuato Giuliano – rappresenta il luogo elettivo del bullismo (per il 78 per cento dei ragazzi), che trova poi rinforzo ed eco online, attraverso un utilizzo pressoché costante delle tecnologie digitali (60 per cento). Le principali conseguenze degli atti di bullismo sono: per il 69 per cento l’isolamento e la perdita della voglia di uscire e frequentare gli amici e il 62 per cento individua come conseguenze il rifiuto di andare a scuola, fare sport o altro; il 53 per cento l’insorgere della depressione; il 45 per cento il chiudersi nel silenzio ed il rifiuto di confidarsi. Infatti, una recente indagine svolta tra i ragazzi lucani, in sintonia con i dati nazionali, ha evidenziato che il 38 per cento non si è confidato con nessuno delle prepotenze subite, che il 42 per cento ne ha discusso con gli amici e che solo l’11 per cento con genitori e l’11 per cento con gli insegnanti ”.<br /><br />“Questi dati - ha concluso il Garante – richiamano noi adulti a recuperare il ruolo di guida per i nostri ragazzi e a porre più attenzione sulla famiglia che resta la prima comunità educante in cui il bambino impara le regole della convivenza e del rispetto per il prossimo. Spesso non rappresentiamo modelli perché i nostri figli si identifichino, non indichiamo regole a cui attenersi o eventualmente ribellarsi, e non offriamo loro soprattutto un orizzonte di senso in cui proiettarsi. Il risultato sono i problemi che i nostri ragazzi portano a scuola derivanti spesso dalle difficoltà relazionali nate in ambito familiare o amicale”.<br />