Il rappresentante Rsa aziendale e segretario regionale – Ugl Enti pubblici non economici, Mario Di Bello, è intervenuto nel dibattito in seconda Commissione consiliare in merito al Piano di risanamento del Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Potenza
“Non bisogna confondere i titolari della gestione delle aree. La gestione delle aree spetta – ha specificato Di Bello – al Consorzio. In effetti l’errore che è stato commesso, a mio avviso, è quello di parlare solo dell’ultimo Piano di risanamento. Non è il primo, il primo è nato nel 2012. Occorre anche dire in merito al Piano di risanamento del 2012 di cui conservo copia che l’Amministrazione non ci ha mai fornito né gli atti, né il bilancio relativo a quegli anni. A quel piano ne sono seguiti altri e, quindi, si fa un errore storico nel dire che si parte dal 2014. Parlando di piani di risanamento dal 2012 – ha sottolineato Di Bello – c'è una certa corresponsabilità anche da parte della Regione che ha forse pensato, attraverso determinate nomine, di far diventare l’Asi di Potenza una Silicon Valley. Quindi, non ci si deve meravigliare dinanzi a bilanci che presentano non poche criticità o se si parla di decine di milioni di debiti. Questi debiti l’Asi li ha sempre avuti, venendo da un’eredità storica che presentava grandi sperperi e guadagni sovradimensionati. Quello di cui abbiamo veramente bisogno è di competenza e di capacità nel porre in essere un piano industriale degno di tal nome. Un errore grave è stato fatto quando qualcuno, nel 2012, ha maturato un certo modello di gara che è stato considerato dai più innovativo, poi nessuno però ha avuto la compiacenza di andare nei dettagli e andare a vedere che fine ha fatto la gara dei 23 milioni di euro e perché è stata lasciata nel dimenticatoio”.
“Noi oggi continuiamo a pagare l’Argaip 250.000 euro al mese – ha detto ancora Di Bello – a fronte di mancati servizi, ma non per colpa della stessa Argaip che ha fatto quello che era nelle sue possibilità, ma se non la si paga puntualmente i servizi effettivamente vengono meno. Abbiamo perso quella risorsa che per noi era indispensabile, vale a dire il guadagno che ci veniva dagli impianti di depurazione, cioè dal trattamento dei rifiuti liquidi speciali. Qualcuno ha avuto la felice idea di concludere un pacchetto onnicomprensivo che contemplava, anche, l’allontanamento dei fanghi alla fine, praticamente, della filiera e da tutto ciò abbiamo ottenuto che l’impianto di depurazione di Melfi è bloccato. Il rischio di perdere il lavoro è concreto, così come il pericolo di arrecare danni irreparabili dal punto di vista ambientale e non solo, perché noi e l’Argaip sommiamo 110 persone. La gara cos’ha maturato? Niente e nessuno si è posto il problema di capire il perché della fuga di clienti e commesse. Con quella mancata gara abbiamo perso i nostri clienti che oggi vanno altrove. Abbiamo fatto realizzare – ha proseguito Di Bello – 3 milioni di euro perché entravano in un pacchetto dei 23 milioni, 3 milioni di euro in lavori all’1 per cento di ribasso. Quindi 3 milioni di euro di lavori che erano comprensivi nei 23 milioni perché tanto era l’importo totale della gestione delle aree, mentre l’Ati avrebbe dovuto provvedere a realizzare i lavori di manutenzione pari a 706.000 euro nei cinque anni. Oggi siamo tornati alla vecchia gestione di dieci anni addietro. Andiamo avanti con l’Argaip a giusta ragione, e bisogna capire le esigenze dei dipendenti che hanno il diritto di essere pagati. Non ci sono più le proroghe e si rischia veramente il collasso perché andiamo avanti con una gestione aree alla ‘carlona’ perché giuridicamente nei fatti l’Argaip non esiste più”.
“Uomini giusti, quindi, al posto giusto e non scelti solo in virtù di conoscenze, se vogliamo avere risultati qualificanti ed evitare spiacevoli situazioni di deficit e di inefficienza. Non ci dobbiamo meravigliare di niente, sono 40 milioni di debiti, ne abbiamo avuti di più. Perché non abbiamo fatto il recupero dei crediti vantati nei confronti degli imprenditori? A qualcuno – ha concluso Di Bello – sarà pure convenuto non chiedere i soldi agli imprenditori atteso che prima erano 10 milioni, poi sono scesi a 7, poi a cinque. Oggi va dato atto che l’Amministratore sta facendo un’azione di recupero dei crediti, forse tardivo, si sarebbe dovuto fare prima. C’è solo da chiedersi perché quelli che lo hanno preceduto non ci hanno pensato e messo in atto determinate richieste”.