Per il consigliere regionale di Italia dei valori si tratta di “uno strumento efficace per realizzare, dopo le intese istituzionali sottoscritte con le Province di Potenza e di Matera, una nuova governance del sistema formazione”
“La sottoscrizione del protocollo d’intesa per l’avvio e l’attuazione dei Patti formativi locali (Pfl) tra Provincia di Potenza e Regione è il traguardo di un’intuizione innovativa e di un lungo lavoro avviato nel 2009 con le prime annualità del PO FSE 2007-2013 e che abbiamo anticipato, in via sperimentale, per primi tra le Regioni del Mezzogiorno, attraverso alcuni bandi nell’ambito del Pfl della filiera turistico-culturale, con risultati estremamente positivi”. A sostenerlo è il consigliere regionale Antonio Autilio (IdV), evidenziando che “il Pfl è uno strumento, promosso nel 2009, che si sostanzia in un’azione di sistema orientata alla creazione di una rete sperimentale per pianificare l’offerta formativa e potenziarne la qualità, legandola alle vocazioni specifiche del territorio”.
“Uno degli obiettivi del Pfl – aggiunge Autilio – è sperimentare nuove forme di concertazione fra impresa, università, scuola e ricerca al fine di costruire profili professionali inerenti al nostro territorio. Si tratta di uno strumento adeguato a realizzare, dopo le intese istituzionali sottoscritte con le Province di Potenza e di Matera, una nuova governance del sistema formazione che diventerà più efficace a condizione che tutti i soggetti di governo condividano una strategia di forte convergenza sia sulla dotazione complessiva delle risorse sia sugli obiettivi che si intendono perseguire e sugli esiti di tali investimenti. Puntare sul capitale umano, qualificarlo, prepararlo alle sfide ha rappresentato uno degli obiettivi forti del Patto che costituisce di fatto un'opportunità per innalzare la qualità dell'offerta formativa attraverso una formazione, risultato di progettazione partecipata”.
Secondo Autilio "anche se non mancano esperienze di innegabile successo dell'istruzione e formazione professionale rispetto alla dispersione, alla continuazione degli studi e all’inserimento lavorativo, la loro natura sperimentale e le ridotte proporzioni non ne fanno un 'benchmark' per valutare complessivamente l'offerta di formazione professionale italiana. Le lacune coinvolgono anche i percorsi secondari dell'istruzione tecnica e professionale, nonché quelli dell'alta formazione non universitaria: manca, ad esempio, una vera offerta degli istituti di Istruzione tecnica superiore (Its) o di Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts), il cui collegamento con le professioni, il sistema di qualifiche europeo (Eqf) e i reali fabbisogni del lavoro, diversamente che negli altri Paesi dell'Unione europea, risulta ancora poco chiaro. Le proiezioni al 2020 sulla domanda e offerta di lavoro evidenziano che il nostro Paese rischia di farsi trovare impreparato ai prossimi cambiamenti del mercato del lavoro. Sul primo versante, la domanda di lavoro, le ricerche del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop), infatti, esprimono la chiara tendenza verso un'economia della conoscenza e dei servizi, che avrà bisogno di lavoratori sempre più qualificati. Nel 2020, l'economia europea domanderà il 31,5 per cento di occupati con alti livelli di istruzione e qualificazione, il 50 per cento con livelli intermedi, mentre i posti di lavoro per i soggetti con bassi livelli di qualificazione crolleranno dal 33 del 1996 al 18,5 per cento. L'innalzamento e l'aggiornamento del livello di qualificazione, se spesso è fatto corrispondere all'acquisizione di titoli di studio più alti, non può certo prescindere dalla realistica valorizzazione di conoscenze, abilità, competenze, certificate e validate alla conclusione di esperienze di apprendimento non formale e informale. D'altra parte, una buona certificazione delle competenze richiede di proseguire il lavoro per la definizione di standard professionali di riferimento, che servano a orientare la valutazione degli esiti dell'apprendimento formale, non-formale e informale, senza tuttavia vincolare l'offerta formativa al miope allineamento con standard lontani dalla realtà e poco efficaci".
"Una maggiore attenzione alla domanda di formazione espressa dalle persone e dalle imprese – continua il consigliere di IdV – dovrebbe, invece, rappresentare il punto essenziale di riferimento verso cui indirizzare un nuovo sistema formativo e verso cui costruire, coerentemente con la strategia europea, un vero modello di apprendimento lungo l'intero ciclo di vita integrato con politiche attive del lavoro, alle quali possano partecipare tutti i 'luoghi formativi' disponibili, fissando regole chiare di riconoscimento di questi importanti contesti non formali e informali di apprendimento, incluse le imprese. Queste ultime (piccole, medie e grandi) si pongono come il contesto privilegiato di sviluppo delle professionalità, ma anche luogo naturale dell'apprendimento di un patrimonio di saperi taciti ed espliciti, tecnici e relazionali che ne qualificano in senso stretto il valore produttivo e, al contempo, il potenziale educativo e culturale per le persone che vi operano. Ciò comporta un ripensamento complessivo dei percorsi di istruzione e formazione in vista delle carriere professionali delle persone: non solo accompagnando e orientando l'uscita dalla scuola/università verso il primo impiego, ma attraverso la ridefinizione dei metodi di insegnamento. Ad esempio, realizzando le esperienze di alternanza scuola-lavoro: laboratori, stage, tirocini, praticantati, borse lavoro, borse di studio estive, apprendistato in tutte le sue forme (anche per l'espletamento del diritto-dovere dell'obbligo d'istruzione o per l’alta formazione)”.
“L’obiettivo da raggiungere – conclude Autilio – è di promuovere un'immagine nuova, che colga l’ ‘effetto Sanremo’, distintiva ed unitaria della Basilicata. Una identità concreta, reale ma altrettanto innovativa, energica saldamente ancorata sulla roccia della storia, sulle tradizioni, su un sistema interconnettivo di saperi e conoscenze”.