Produzione cerealicola sempre minore; prezzi del grano duro lucano in picchiata e comunque non remunerativi; rafforzare i rapporti di filiera, arrivando ad accordi interprofessionali; costituzione di una “cabina di regia” per controlli sia nella fase di importazione che in quelle di trasformazione e commercializzazione. Sono questi alcuni degli aspetti del comparto cerealicolo evidenziati dal Gie-Gruppo di interesse economico cereali della Cia-Confederazione italiana agricoltori della Basilicata
I costi produttivi in costante aumento (più 4,4 per cento a gennaio, di cui più 6,4 per cento solo per i carburanti) – si evidenzia in una nota – hanno portato gli imprenditori del settore a scelte drastiche: come evidenzia l’Istat, infatti, nelle intenzioni di semina 2010-2011, c’è stato un netto rialzo (pari al più 19,1 per cento) dei terreni lasciati a riposo. E la decisione di non seminare è dipesa proprio dal fattore costi, soprattutto visto che oggi i prezzi di mercato, caratterizzati da una crescente volatilità, non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato agli agricoltori ital iani resta tutt'ora tra i più bassi del mondo.
Il calo delle semine di grano duro porterà, quindi, a una crescita delle importazioni dall’estero -avverte la Cia- dopo un 2010 già da record.
La Cia in proposito rivendica l’adozione del Piano Cerealicolo Regionale in sinergia con il Piano nazionale; una nuova disciplina regionale che favorisca l’aggregazione delle produzioni; un programma di insediamento agro-industriale; un progetto per il potenziamento della ricerca e dell’innovazione e di sostegno all’introduzione di varietà; la definizione del marchio a tutela del pane e della pasta made in Lucania.
Un settore, quindi, in grave affanno che ha necessità di nuove politiche che diano reali sostegni alle imprese agricole che non possono continuare ad operare nell’incertezza più profonda e in un sistema competitivo che sta fiaccando sempre più i produttori italiani. Da qui l’esigenza di rendere più saldi e produttivi i rapporti di filiera e di lavorare in maniera seria per cercare di raggiungere efficaci accordi interprofessionali che permettano di tutelare e valorizzare il “made in Italy”.
E’ stato infine denunciato che sui mercati della Basilicata è da tempo presente grano proveniente soprattutto dall’Ucraina, dal Kazakhistan, dall’Australia, dal Canada e dal Messico, che viene scaricato al porto di Bari, e dalla Turchia, attraverso l’interporto di Foggia, mentre per la pasta prodotta in Italia -sottolinea la Cia- vengono impiegati grani duri per il 50-60 per cento di origine estera, con seri problemi di qualità e sanità del prodotto.
Sono gravi le responsabilità, insomma, di chi invece che premiare la qualità che gli agricoltori italiani si sforzano di produrre, ricorre -rimarca la Cia- all’utilizzo di produzioni estere in situazioni anche non strettamente necessarie. Valorizzare le produzioni locali qualitativamente interessanti per ricostituire delle scorte di cereali anche nel nostro Paese dovrebbe essere uno degli obiettivi di politica economica del governo.
BAS 05